Jacopo Benassi. Autoritratto criminale


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Fino al 1 settembre, la GAM, Galleria d’Arte Moderna di Torino, ospita la mostra “Jacopo Benassi. Autoritratto Criminale”, a cura di Elena Volpato, nata dall’arrivo in collezione dell’opera “Panorama di La Spezia”, 2022, acquisita per le collezioni del Museo dalla Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT., che è un autoritratto in cui l’artista non compare mai, così come non compare la presenza umana. Appaiono invece foto di piante scattate nel buio della notte ai giardini pubblici, piante che coprono, almeno parzialmente, alcuni panorami della città ligure dipinti con vago sapore ottocentesco. Foto e tele sovrapposte, tenute insieme da grosse cinghie, sono appese a due pareti di cartongesso che per un po’ sono servite da studio temporaneo a Benassi, mentre preparava una sua esposizione proprio a La Spezia, sua città natale.

Jacopo Benassi, Autoritratto criminale, GAM, Galleria d’Arte Moderna, Torino

A partire da quell’occasione l’opera di Benassi si è progressivamente spostata dalla fotografia a uno spazio d’ombra compreso tra foto e dipinti, tra foto e calchi in gesso. Il suo lavoro fotografico, sviluppatosi sotto il segno del contrasto tra il buio di fondo e la luce del flash sparata addosso a ogni soggetto, ha momentaneamente scelto come suo luogo d’elezione e nascondimento la parte non visibile delle cose, quella che resta custodita o prigioniera tra una cornice e l’altra, tra un’immagine e l’altra, quello che si può solo immaginare o desiderare.

Dietro all’installazione di “Panorama di La Spezia”, usata come fosse un paravento, compare “Serie di ritratti appesi”, 2024, realizzata per la mostra, un’opera che porta alle estreme conseguenze il processo di cancellazione, presentando sospeso nel vuoto un pesante sandwich di cornici di cui si vedono solo due retri.

Tra gli autoritratti nascosti c’è anche quello scelto per la comunicazione della mostra in cui Jacopo Benassi ci guarda da dietro la lunga frangetta di una pettinatura da donna e sotto quello sguardo fisso ci troviamo a interrogarci sul crudo sapore di verità che può avere un travestimento. Si tratta in qualche modo di un autoritratto criminale, non solo perché potrebbe idealmente appartenere alla triste tradizione che voleva i travestiti, fino a pochi decenni fa, effettivamente schedati e fotografati, ma anche perché presenta i codici tipici dei ritratti segnaletici che Benassi mette in gioco in quella immagine e in molte altre, sin dai suoi inizi.

Pensando a questa prima matrice del suo lavoro, in mostra, per desiderio dell’artista, è esposto il grande bozzetto in gesso, conservato nelle Collezioni della GAM, che Leonardo Bistolfi realizzò per il monumento all’amico Cesare Lombroso, poco dopo la sua morte, attorno al 1910. È lì quale testimone di uno sguardo che seppe fissarsi impietoso su alcuni aspetti marginali e deviati del reale con la stessa determinazione con cui agisce il flash di Benassi.

Un altro ritratto in via di sparizione si aggiunge in mostra al dialogo ideale con Ando Gilardi e con la memoria di Lombroso, quello del più grande criminale della storia, ovvero Hitler. Per la realizzazione della mostra, hanno collaborato la Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT, il Museo di Antropologia Criminale “Cesare Lombroso”, Augustin Laforêt e la galleria Francesca Minini.

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