Nella sua attività di ricerca sulla Seconda metà del Novecento attraverso la presentazione di alcuni dei suoi protagonisti, il Museo del Novecento di Milano ospita, fino al 6 ottobre prossimo una mostra dedicata a Remo Bianco e intitolata “Le impronte della memoria”, realizzata a cura di Lorella Giudici con la collaborazione della Fondazione Remo Bianco.
Sono
qui esposte oltre 80 opere dell’artista,
che ripercorrono le fasi della sua ricerca e ne rappresentano i percorsi di
vita e di lavoro. Nella Milano del boom economico il giovane Remo Bianco
conosce e frequenta il grande pittore Filippo de Pisis e
il suo entourage, per diventare un “ricercatore solitario”, come
si era autodefinito. In mostra sono esposte tutte le tipologie di opere prodotte
nell’arco di un quarantennio: dalle prime Impronte,
calchi in gesso, cartone pressato o gomma ricavate dai segni lasciati, da
un’automobile sull’asfalto, o da tracce di oggetti comuni, giocattoli o
attrezzi ai Sacchettini-Testimonianze, realizzati assemblando
oggetti di poco valore – monete, conchiglie, piccoli giocattoli, frammenti – in
sacchetti di plastica fissati su legno in una disposizione regolare e appesi
come un quadro tradizionale. Dalle opere tridimensionali, i 3D,
in materiale plastico trasparente o vetro e poi su legno, lamiera e plexiglas
colorato, dove l’immagine è la combinazione di figure poste in successione su
piani differenti, che ne esaltano la profondità alla serie dei Collages,
con un effetto combinatorio di immagini, realizzate con la tecnica del dripping
su un unico piano, di tela, carta o stoffa alle opere di “Arte
sovrastrutturale” che, con un atto di “appropriazione
artistica” di oggetti, cose e persone, esprimono l’esigenza di fissare nella
memoria in modo indelebile ricordi e realtà alle Sculture
neve, teatrini poetici i cui protagonisti sono oggetti comuni
tratti dal mondo dell’infanzia, della natura o della vita quotidiana ricoperti
di neve artificiale e disposti in teche trasparenti che trasportano lo
spettatore in una dimensione incantata e senza tempo. Sino ai Quadri
parlanti, esposti per la prima volta nel 1974, tele in alcuni
casi non lavorate in cotone bianco o nero, in altre impressionate con
fotografie, sul cui retro sono posizionati degli amplificatori che,
all’avvicinarsi dello spettatore, si attivano emettendo suoni o frasi
registrate dall’artista. Il più noto è “Scusi signore…” dove Bianco si
auto-ritrae con il dito puntato, immagine già utilizzata nel 1965 quando, in
occasione di una personale alla Galleria del Naviglio, la foto compariva su
tutti i tram milanesi a coinvolgere l’intera comunità.
A
completare la mostra, accanto alle opere vi è una esaustiva documentazione
d’archivio: cataloghi, manifesti, articoli e fotografie d’epoca. Il
catalogo della mostra, edito da Silvana, è corredato dai testi di Lorella
Giudici ed Elisa Camesasca, dagli apparati a cura di Gabriella Passerini e
Alberto Vincenzoni e riporta un’intervista a Marina Abramović del 2012,
riguardo al lavoro di Remo Bianco, conosciuto nel 1977.