Marino Marini. Passioni visive


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Marino Marini, Cavallo, 1947

La mostra “Marino Marini. Passioni visive”, allestita dal 16 Settembre (domani) al 7 Gennaio 2018 a Pistoia, Palazzo Fabroni, ha l’intento principale di situare organicamente il lavoro del Maestro nella storia della scultura.

A cura di Barbara Cinelli e Flavio Fergonzi, la mostra si avvale di un Comitato scientifico composto dai Curatori e da Philip Rylands, Salvatore Settis, Carlo Sisi e Maria Teresa Tosi, è promossa dalla Fondazione Marino Marini e dal Comune di Pistoia, è realizzata in collaborazione con la Cassa di Risparmio di Pistoia e della Lucchesia, con la Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e con la Camera di Commercio di Pistoia. Essa, dopo Pistoia, sarà trasferita alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, edizione sostenuta dagli Institutional Patrons, FG, Lavazza, Regione del Veneto, le Guggenheim Intrapresæ.

Sono dieci le sezioni in cui è articolata la mostra, tutte caratterizzate dal raffronto tra le opere dello scultore pistoiese e quelle di altri grandi del passato o di suoi contemporanei. Nella prima i suoi busti degli esordi sono affiancati a canopi etruschi e a busti rinascimentali; mentre il “Popolo”, la terracotta del 1929, si misura con una testa greco-arcaica da Selinunte e con un coperchio figurato di una sepoltura etrusca. Anche la successiva ricerca di una diversa monumentalità, ben rappresentata dal capolavoro ligneo dell’“Ersilia”, è messa a confronto con sculture etrusche e antico-italiche.
Verso la metà degli anni Trenta Marini si concentra sul soggetto del nudo maschile e ne trae una serie di lavori destinati a lasciare un segno nella scultura europea, come evidenzia il raffronto con opere capitali del medesimo tema di Arturo Martini e Giacomo Manzù. Negli stessi anni, Marini reinventa il significato stesso del ritratto scultoreo, attingendo ai modelli del passato, specialmente all’arte egizia e la mostra si sofferma sui celebri primi grandi “Cavalieri” dei secondi anni Trenta.
La scena successiva è riservata alla stilizzazione allungata dei corpi maschili: qui il trecentesco Cristo Crocifisso appartenuto al maestro è avvicinato a un suo “Icaro” e a due dei suoi “Giocolieri”.
Le “Pomone” e i nudi femminili, che lo scultore realizza partendo da una originale e misurata rielaborazione del classicismo post-rodiniano, si confrontano in mostra con i nudi di Ernesto De Fiori e di Aristide Maillol, le maggiori proposte europee del tempo di trasformare il corpo femminile in una forma astratta.
Verso il 1940 Marino Marini rivisita il lavoro di Rodin per dare inizio a una nuova stagione di ricerca che lo porterà, nel dopoguerra, a misurarsi con l’esistenzializzazione della forma di Germaine Richier. Questa particolare declinazione della ricerca formale di Marini prende forma negli anni del conflitto, durante il suo esilio in Svizzera, quando lo scultore sembra guardare con particolare attenzione al drammatico realismo di Donatello: la presenza in mostra del Niccolò da Uzzano del Bargello permette di comprendere a fondo le implicazioni di questa svolta.
La ricerca postbellica riporta Marino Marini a indagare, in forme più astratte, il tema del cavallo e cavaliere: in una sala sono raccolti i lavori più significativi di questo ciclo, determinanti nello stabilire la posizione di primo piano dello scultore nel canone della scultura contemporanea di figura. In una sala i “Cavalieri” post 1945 di Marino Marini sono messi a confronto con i loro antenati di riferimento, cavalli e cavalieri dalle civiltà del Mediterraneo e dell’antica Cina.
Nel dopoguerra Marini inventa una nuova lingua per la resa espressiva del volto umano: questa lingua, che guarda alla scomposizione cubista e, insieme, alla deformazione espressionista, farà di lui il più grande ritrattista-scultore del secolo. La sala dedicata ai ritratti del dopoguerra propone confronti con teste di civiltà antiche e teste di scultori contemporanei. Ancora il tema del Cavaliere, questa volta disarcionato, diventerà un motivo di pura ricerca spaziale, ormai quasi sganciato dalla riconoscibilità del soggetto, come evidenziato dalla sezione dedicata ai celebri “Miracoli”. Chiudono la mostra i piccoli e grandi “Guerrieri” e le “Figure coricate” degli anni Cinquanta e Sessanta: è visualizzato, in questo snodo, l’inatteso confronto con l’antica tradizione toscana di Giovanni Pisano e, insieme, con le soluzioni più sperimentali di Pablo Picasso e di Henry Moore.

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