La forza delle cose di Guttuso


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Renato Guttuso, Un angolo dello studio in via Pompeo Magno, 1941-42, Olio su tela, cm 79×64.5, Udine Casa Cavazzini Museo d’Arte Moderna e Contemporanea,
© Renato Guttuso by SIAE 2016

Strano caso quello di Renato Guttuso. Per anni, anche quando era in vita, è vissuto tra due estremi: tra chi lo osannava a prescindere, come succedeva soprattutto con parte della critica militante, e tra chi lo sminuiva perché vedeva nelle sue opere uno strumento politico fine a sé stesso. Come la si voglia pensare, bisogna prendere atto che tale dualismo oggi è ormai superato e finalmente Guttuso può essere giudicato con gli strumenti della storiografia artistica che si basano su dati di fatto oggettivi e non su speculazioni. Va da sé che nell’analisi le due tendenze di cui si diceva sopra non vanno snobbate, ma prese in considerazione e contestualizzate, senza nulla togliere al giudizio, chiamiamolo fenomenologico, dell’artista e della sua produzione.

A rendergli tale onore ci pensa la sua terra natia. La Fondazione Sicilia, in occasione dei suoi venticinque anni, con Sicily Art & Culture e in collaborazione con gli Archivi Guttuso e con l’assessorato alla Cultura e Turismo del Comune di Pavia, ha organizzato la mostra “La forza delle cose”, ospitata negli spazi di Villa Zito a Palermo fino al 26 marzo 2017, curata da Fabio Carapezza Guttuso e da Susanna Zatti, direttrice dei Musei Civici di Pavia. L’esposizione si concentra su 47 nature morte, un genere finora poco indagato ma frequentato sovente dal maestro siciliano. Infatti Guttuso non è stato solo l’autore delle grandi tele tanto amate dal PCI, ma artista a tutto tondo che ha fatto della pittura un esercizio quotidiano della sua ricerca espressiva. «Se la pittura non penetra l’oggetto e non ne svela le vibrazioni, se non arriva partendo dall’oggetto e dall’osservazione sentimentale di esso alla creazione di un equivalente plastico dell’oggetto non si perviene alla poesia, ma si precipita nella fotografia», scriveva nel 1933.

Secondo Giulio Carlo Argan, Guttuso fin dal principio dichiara la sua posizione ideologica con “Fucilazione in campagna” e con “Fuga dall’Etna”. In entrambi i casi opera una denuncia nei confronti della situazione tragica vissuta dai contadini nel Mezzogiorno. Formalmente passa a una revisione critica dell’arte di Cézanne, di Van Gogh, di Picasso attraverso l’Espressionismo, mirando a mettere in evidenza la protesta e l’accusa alla società borghese. La sua ricerca assume esiti drammatici di cui troviamo tracce evidenti ne “La Crocifissione” e nella serie di disegni e acquerelli “Gott mit Uns”. Mario De Micheli lo definisce “artista dell’impegno”, interessato all’uomo nella sua quotidianità, ma ancora di più nella sua collettività. Per il critico riveste un’importanza basilare la scelta della figurazione a scapito dell’astrazione. Questo per una ragione molto semplice: per la volontà di comunicare, rappresentare, parlare agli uomini in modo esplicito, esprimendo sensazioni precise. Siamo agli antipodi dello spirituale nell’arte promulgato da Kandinsky. L’arte in questo caso serve per radicare un discorso di tipo sociale nella Storia. In tal senso va interpretato l’impegno di cui parlava De Micheli, scaturito più avanti ne “I funerali di Togliatti”.

Renato Guttuso, Cimitero di macchine, 1978, Olio su tela, cm 70×90, Macerata, Fondazione Carima – Museo Palazzo Ricci, © Renato Guttuso by SIAE 2016

La mostra di Palermo si concentra sulle nature morte eseguite dagli anni ’30 agli anni ’40. Pur confrontandosi con un genere che molti definirebbero “leggero” Guttuso non manca di documentare la drammatica condizione esistenziale, quella umana ben descritta da Malraux nel suo romanzo, qui rivolta a una critica nei confronti della dittatura. Finita la guerra l’artista si concentra sulla sintesi operata da Picasso che nel frattempo cercava di superare il cubismo (echi si trovano in “Finestra” del 1947 o “Bottiglia e barattolo” del 1948). Più avanti l’interesse di Guttuso va ad abbracciare temi cari al realismo e all’informale: ne sono un esempio “Il cestello”, “La ciotola” e “Natura morta con fornello elettrico”. Infine l’ultimo periodo, a cavallo tra i ’70 e gli ’80, la ricerca del reale è fissata su tele come “Cimitero di macchine” e “Bucranio, mandibola e pescecane”, veri e propri manifesti allegorici, metafore del vissuto quotidiano. Non manca neppure un ricco apparato video e fotografico che approfondisce la vita privata, in particolar modo i suoi rapporti con artisti, musicisti, scrittori, poeti, registi e musicisti.

“Guttuso. La forza delle cose” è visitabile dal martedì al giovedì dalle 10 alle 17; il venerdì, sabato, domenica e festivi dalle 10 alle 19.

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