Giacomo Failla. Segno astrazione


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A Palazzo Belmonte Riso, sede espositiva del Museo Regionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Palermo, fino al 27 marzo è allestita la mostra personale delle opere recenti di Giacomo Failla (Catania,1954), inserita nel programma della Settimana delle Culture. Curata da Giacomo Fanale, la mostra comprende anche le sue ultime opere complesse, ottenute con l’uso del cartone rigenerato e pressato, in modo da ottenere effetti materici tridimensionali; oltre ad alcuni pezzi realizzati per Fragments of Solitude, a cura di Samson Surasidhi Panich a Bangkok. Failla recupera elementi che rivelano quella stratificazione che gli è cara sin dalle origini delle sue prime composizioni formali, quando elementi di riutilizzo materico caratterizzavano complesse astrazioni geometriche, totem metallici, lavori con le sabbie.
La ricerca di un tratto riconoscibile, elemento che lega tutto il suo universo artistico, caratterizza “Archetipi frammentati”, opera site specific, pensata dall’artista in dialogo con la teoria di armadi sospesi a soffitto realizzata da Jannis Kounellis nel 2008 a Palazzo Belmonte Riso. È anche il primo passo per un progetto più ampio sull’interpretazione contemporanea dei siti monumentali e archeologici, che Failla svilupperà in Sicilia, seguito dal videomaker Andrea Di Silvestro e dal fotografo Giampiero Caminiti: installazioni site specific temporanee da cui nasceranno un’accurata documentazione fotografica e un cortometraggio.
Ridurre all’essenziale, ma ritrovare tra le pieghe di più vite sovrapposte gli stimoli per andare avanti. Durante la pandemia Giacomo Failla si è interrogato sulla necessità e l’urgenza di un “segno” grafico “forte”, spogliato da sovrastrutture.

Giacomo Failla, Orient, 2019, acrilico su tela cm100x100

Sono nate così opere che ritornano alla materia ma la ritrovano come una compagna fedele; altre ispirate al rapporto intenso che lo lega all’artista visuale giapponese Nakajima Hiroyuki, che definisce la gestualità “una sua forma convertita in linee e forme sulla carta mediante il pennello”. È un lavoro a togliere, a grattare, a livellare le stratificazioni dei secoli: Failla conferma le sue radici, riconoscendo nei caratteri delle proprie trame grafico-pittoriche lo stesso segno impresso in passato, testimonianze che hanno superato le ritrosie nei secoli di una terra che si rigenera ad ogni passo, ma mantiene la memoria. È una riflessione continua, dai grandi apparati barocchi ai palazzi nobiliari, alle ville suburbane o ai capannoni industriali, alle installazioni luminose delle sagre. E la terra: a partire dalle sciare di lava dell’Etna, Failla raccoglie la sabbia lavica che diventa materia per le sue tele. “A questa appartenenza, che definisce una precisa identità culturale, si ispira l’opera di Giacomo Failla, che dalla necessità di lasciarsi assecondare, oltre che ammaliare dalla stessa ricerca delle proprie tradizioni, è condotto, con una sensibilità non comune, linfa del suo esistere come artista figlio di questa terra, a riscoprire la validità di quella identità che ambisce ad essere universale” scrive Giacomo Fanale nel testo in catalogo.

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