Mastroianni, artista e uomo per la libertà


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I ricordi del passato risalgono ai tempi in cui Umberto Mastroianni (Fontana Liri, FR, 1910 – Marino Laziale, RM, 1998), nella sua meravigliosa dimora (antica casa di caccia dei Principi Colonna, che Mastroianni acquistò da Alberto Moravia) a Marino, a due passi da Roma viveva, svolgeva la sua opera artistica e riceveva amici ed ospiti in un salone cinquecentesco splendidamente affrescato; a quel punto, seduto allungo tavolo iniziavano momenti, per chi li ha vissuti, intensi ed indimenticabili. Il vulcanico artista rendeva i presenti partecipi della sua passione per l’arte e per la vita; il mostrare le sue opere più recenti, lo scrivere poesie, il raccontare aneddoti e la progettazione e creazione di opere era un qualcosa di irripetibile e travolgente. Oggi, di fronte alle opere di Mastroianni rifletto sul personaggio storico e sul suo lavoro, non rendendolo un essere umano generico e stereotipato (cosa che spesso, sbagliando, viene fatta), ma partendo proprio dall’uomo, da Umberto.

Umberto Mastroianni, Airone, scultura in marmo nero assoluto del Belgio, 1997

Un trascinatore che si è sempre contraddistinto per il grande entusiasmo verso la sua attività artistica coinvolgendo con il proprio carisma chi gli era intorno: amici, galleristi, critici d’arte e collezionisti; era sufficiente una parola o un accenno ad un progetto, magari ancora in fase embrionale, e subito Mastroianni si trasformava in un fiume in piena.

Raccontava con enfasi delle sue esperienze avvenute, ma direi che con ancora maggiore passione illustrava i suoi progetti o addirittura i suoi sogni, facendoli già apparire come reali; non aveva mai dubbi di eventuali ostacoli sul percorso. Effettivamente portava a termine ogni idea ed è per questo che egli è il maggiore scultore di monumenti eretti sul territorio italiano e celebranti la libertà sociale conquistata con sacrifici umani.

Vivacità e ricerca, lo hanno portato nel tempo a mutare il proprio bagaglio espressivo: dalle piccole teste bronzee e dalle figure ben definite dei primi anni della sua attività, fino ad arrivare alle opere esplosive e cariche di pathos che contraddistinguono al meglio il suo “timbro”.

L’esperienza di vita, il momento storico attraversato, lo hanno portato ad una costante ricerca e difesa della libertà, sia essa in ambito sociale che in campo espressivo artistico.

L’arte, forse l’espressione più nobile dell’intelletto umano, non necessariamente ha bisogno di dettami e regole fornite da chicchessia ma di indipendenza per essere veramente tale; ciò che si vuole rappresentare non deve essere standardizzato secondo canoni prestabiliti ma deve essere visione personale e, volendo, fantasiosa dell’artista (di conseguenza anche del fruitore); l’arte non deve dunque essere frutto della pura razionalità ma può sfuggire ai nostri schemi, alle nostre strutture mentali, per andare oltre.

La ricerca del bello artistico non deve necessariamente portare a riprodurre qualcosa di reale, ma le “vibrazioni” che la caratterizzano e le emozioni che suscita quel qualcosa: sia esso tangibile o meno, come ad esempio un ideale o un sentimento.

Attraverso la libertà espressiva l’artista, secondo lui, poteva raggiungere il suo scopo: dare forma ad opere d’arte. La vera arte, dunque, come “discendente diretta” della libertà.

Fu a causa di questa sua visione dell’arte che si allontanò dal Partito Comunista quando Togliatti, fraintendendo alcune pagine gramsciane sulla cultura “nazional-popolare” e riprendendo alcuni elementi del pensiero sovietico (nella fattispecie di Andrej Aleksandrovič Ždanov l), affermò che l’arte doveva essere “universalmente comprensibile” e “nazional-popolare”. Umberto Mastroianni non accettò i dettami del PCIe se ne distaccò, come fece anche un nutrito gruppo di intellettuali e di artisti tra i quali Eugenio Reale, Ignazio Silone, Emilio Villa, Emilio Vedova, Giulio Turcato, Pietro Consagra, Antonio Corpora, etc.

Il rifiuto di un’arte pilotata da qualcuno, imbrigliata da dettami di sorta, portò Mastroianni, negli anni Ottanta, ad avvicinarsi agli ambienti socialdemocratici. Inquel periodo, infatti, l’idea della “Interazione Sociale”, portata avanti dai socialdemocratici tedeschi e italiani nelle persone di Peter Glotz e Adriano Villata, stava ponendo le sue basi anche nel mondo della cultura e dell’arte. “L’arte come Interazione Sociale [ … ] dove ci sarà sempre la relazione tra due soggetti o tra due gruppi di soggetti”2 (A.Villata): quindi, non un’arte di Partito, o di Stato (in Unione Sovietica le due accezioni coincidevano), ma un’arte indipendente, svincolata, legata soltanto alla mente dell’artista e del fruitore; l’unico elemento esterno condizionante è il confronto con altri artisti; questo può portare un’evoluzione mentale ed artistica senza, tuttavia, porre limite alcuno.

Se per Togliatti l’arte doveva essere facile, di semplice comprensione, fatta per il popolo (non elitaria), per Mastroianni l’arte doveva essere, anzitutto, libera: tale libertà espressiva avrebbe portato come naturale conseguenza libertà interpretativa, questa sarebbe poi stata la base della “facilità dell’arte”; una sorta di rapporto di fiducia che viene ad instaurarsi tra l’artista ed il fruitore, il cui scopo è l’appagamento reciproco.

Ignazio Silone nel 1961 affermò che si rendeva indispensabile, per la salvezza delle istituzioni democratiche e della vera libertà, non solo un “habeas corpus”, ma un “habeas animam”; affermazione, la precedente, che può essere trasposta, senza alcun problema, all’ambito artistico-culturale: non solo la bellezza formale e plastica, ma soprattutto la bellezza espressiva e “interiore” dell’opera.

Libertà, quella per la quale aveva lottato quando era stato partigiano; fu proprio in quel periodo che iniziò ad avvicinarsi, come gran parte dei partigiani, agli ambienti politico-culturali di sinistra.

A causa della stessa libertà, che sembrava venirgli tolta dalle dichiarazioni di Togliatti sullaproduzione artistica, Mastroianni non si riconobbe più in quel gruppo di intellettuali che gravitavano intorno al PCI e se ne distaccò, non senza subirne le conseguenze: ad esempio, non gli venne assegnata la cattedra di scultura all’Accademia Albertina di Torino (città per la quale, com’è ben noto, Mastroianni aveva fatto molto) per poi incaricare un “tesserato al partito” (come si diceva allora).

Dal 1926 (anno in cui entrò nell’atelier di Michele Guerrisi affinando la propria tecnica scultorea) fino al 1970 Mastroianni, infatti, visse a Torino partecipando attivamente alla formazione e sviluppo di quel panorama culturale molto attivo nel capoluogo piemontese; in questa città conobbe il musicista Massimo Mila, lo scrittore Guido Seborga e il pittore Guido Spazzapan con i quali diede vita, insieme ad altri artisti, nel 1947, al Premio Torino vinto da Emilio Vedova, Bruno Cassinari e Pericle Fazzini. Furono anni di frenetica ricerca e di ferventi battaglie intellettuali per il rinnovamento dell’arte e della cultura italiana partendo da una città, Torino, molto chiusa ed eccessivamente legata al “classicismo” casoratiano.

La sua fama, nonostante la mancata assegnazione della cattedra di scultura all’Accademia Albertina, rimase comunque immutata e venne spesso incaricato di produrre grandiosi monumenti alla Resistenza ed alla Liberazione; veniva considerato come uno dei più rappresentativi combattenti per la Libertà. Scrive, infatti, Sandro Pertini (amico di Mastroianni e compagno partigiano): “ … Umberto Mastroianni: un messaggio tra i più intensi e compatti che l’arte abbia modulato ad interpretare i sacrifici, le passioni, le lotte di un popolo intero”.

Libertà, dunque, può essere vista come filo conduttore ed il grande amore per l’artista di Fontana Liri; continuamente ricercata e trovata nelle sue “esplosioni” bronzee, nei suoi tratti decisi, nei cromatismi intensi, nelle geometrie spaziali che prendono forma dai più svariati materiali: dal bronzo al marmo, alla pietra, al legno, passando per il disegno, la grafica, gli arazzi ed il mosaico.

Con Mastroianni si palesa quel rapporto che spesso si instaura tra società e mondo della cultura: gli intellettuali sono spesso partecipi e attivissimi protagonisti nella società e nelle vicende storiche, oltre che nei loro specifici ambiti.

1-Andrej Aleksandrovič Ždanov fu la guida della linea culturale del Partito Comunista Sovietico durante gli anni dello stalinismo e si impose come inflessibile sostenitore del cosiddetto realismo socialista liquidando ogni fermento di libertà: si fece, inoltre, promotore di una serie di azioni atte a censurare la produzione artistica e letteraria in Unione Sovietica. Le opere non ritenute conformi agli ideali del partito venivano accusate di “formalismo”, quindi censurate e gli autori di queste “deviazioni” venivano ammoniti pubblicamente.

2-“Interazione Sociale. Possibile terza via per la cultura italiana”, edizioni C.E.S.P., Torino, 1986.

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Informazioni su Anselmo Villata

Caporedattore dell'Agenzia Stampa Verso l'Arte, Vice Presidente Internazionale dell'Associazione Internazionale dei Critici d'Arte, Docente presso la 24Ore Business School e presso la Giunti Academy, Curatore, Critico d'Arte, Saggista, Cultural manager e Cultural planner orientato alla promozione e alla valorizzazione dei Beni Culturali con un'ottica all'interdisciplinarità e alle collaborazioni internazionali.