Forme pure, perfette; superfici lisce, lucide; opere preziose, leggere nel loro slancio aereo. Sono vocaboli ed espressioni che ricorrono spesso nei saggi e negli studi sull’opera di Constantin Brâncuşi, ma questa è storia. E, certamente, Brâncuşi è una pietra miliare nella storia dell’arte moderna, anzi, è colui che l’ha inventata suggerendone i nuovi canoni. Egli ha dato indicazioni basilari sui concetti di sviluppo delle forme, dei volumi, del trattamento della materia, del dominio dell’azione della luce sulle superfici. Lo si può considerare al pari di Michelangelo, di Bernini, un Maestro a cui guardare e dal quale trarre insegnamenti. Con Arturo Martini, anche grande teorico, Auguste Rodin, suo maestro ma del quale non intendeva essere “all’ombra”, Alberto Giacometti, anch’egli grande innovatore dell’opera volumetrica, Brâncuşi ha contribuito a determinare un svolta decisiva nel modo di intendere la scultura. L’incondizionato amore per la natura, dalla quale si possono trarre tutte le più svariate forme, unito ad un indicibile sentimento sprigionato dal distacco dalla sua donna, avvenuto per mezzo di un aereo, è la scintilla emotiva che conduce ad intuizioni formali ed espressive più soggette al concetto che all’immagine e, quindi, la scultura è, sì, corpo essendo fatto di materia, ma è soprattutto la sintesi di un’idea che deve lasciare spazio al pensiero. Perciò, pur essendo un’immagine riconoscibile, assume un carattere “astratto”.
Eredità, in questo senso, raccolta da Carmelo Cappello (1912-1996), che della natura amava le geometrie circolari, gli svolgimenti leggeri, le verticalità affusolate come a voler in qualche modo fendere l’aria, penetrare lo spazio, inglobarlo e interagire con la luce attraverso i riflessi e gli specchiamenti delle superfici levigate e lucide dei metalli, bronzo e acciaio, in tal modo modificando anche la visione dell’ambiente circostante deformato virtualmente dalle fogge delle superfici specchianti. L’idea di scultura “contenitore” o “contenuto” l’aveva accolta Floriano Bodini (1933-2005) eseguendo le teste ovali, piuttosto brâncuşiane, ma soprattutto nei voli di uccelli e anche nei personaggi, sia quelli uniti in un sottile abbraccio che quelli singoli, com’è l’esempio largamente conosciuto della scultura-ritratto di Papa Montini. Inoltre, come per Brâncuşi, il basamento è parte integrante della scultura e non meramente il supporto.
Una innovazione sconvolgente introdotta da Brâncuşi è la scultura da “guardare” con il tatto e con l’udito. Egli l’aveva pensata per i non vedenti, ma l’evoluzione è andata ben oltre, se si pensa alle “macchine inutili” di Bruno Munari (1907-1998), con le quali si è avviato anche il tema del movimento delle opere d’arte che, oltre ad agevolare la fruizione, essa diventa più facile e completa, ludica. Su questa strada si trova l’eccentrica Niki de Saint Phalle (1930-2002) con le sue sculture, galleggianti o terrene, colorate, giocose, allegre, abbondanti e leggere, per le quali sfrutta il movimento naturale e intensifica i volumi tondeggianti con incastri cromatici. Sempre nel campo della scultura da partecipare, Jean Tinguely (1925-1991) tiene conto di tutti i sensi da sollecitare e la sua scultura è una reale macchina meccanica al completo dei requisiti tecnici, materici per una fruizione visiva, tattile, uditiva, ludica. E con lui si entra pienamente nell’era cinetica.
Dall’essenzialità formale, preziosa ed elegante, raffinata, discende il concetto di arte povera e di minimalismo, poi sviluppatesi sotto altri stimoli, ma originate dall’idea di sintesi dell’immagine scultorea che intende abbandonare i tratti semantici logori della tradizione per renderla più adattabile al pensiero contemporaneo. In questa fede, dagli anni Sessanta del secolo scorso sorgono gruppi, avanguardie e movimenti, supportati da critici e teorici, in ambito ai quali si affermano esponenti quali Merz, Penone, Paolini, Boetti, fino a poi riconquistare una libertà personale fuori dai raggruppamenti e dalle nomenclature e riappropriarsi dell’individualità creativa che porta molti artisti a realizzare opere lineari, verticali ed aeree, degnamente sulla scia del concetto brâncuşiano di scultura moderna.
Attualmente, l’influenza di Constantin Brâncuşi si percepisce, nel bene e nel male è una questione di interpretazione sia creativa che fruitiva, non necessariamente nelle forme discendenti con espressione diretta dalle sue. Ciò avviene anche quando si verificano in maniera inconscia i concetti di volume, di occupazione dello spazio, della sintesi delle forme e nondimeno le superfici lisce, levigate e poco scolpite. Per esempio, le opere di Mario Ceroli, spesso composte con accostamenti o sovrapposizioni di piani, di sagome che segnano i profili e lasciano intendere i volumi. Oppure Giorgio Celiberti per il quale la scultura diventa logos che si imprime su forme antiche, quali totem e stele.
Nella situazione attuale, tra i più giovani e giovanissimi artisti o così sedicenti, la scultura diventa installazione. È cambiata radicalmente l’idea di volume, lavoro plastico, materiali, ma soprattutto dell’estetica della forma. Scolpire non significa più modellare una massa informe, creare, applicare una tecnica artistica del sottrarre o aggiungere materia per realizzare una creatura. Invece, l’installazione prevede una sorta di costruzione con corpi ed elementi già esistenti, nobili o plebei, nuovi o di recupero, importante che stupiscano nel risultato finale. Verrebbe da dire che è più un complicare che un sintetizzare, una sorta di involuzione verso un barocchismo stupefacente, derivato da una cattiva interpretazione della Pop Art, dove la presunta genialità si manifesta generalmente in trovate di dubbio gusto.
Constantin Brâncuşi (Peștișani, Romania, 1876 – Parigi, 1957) ha lasciato certamente il suo segno e un’eredità; sull’arte scultorea, però. Il fatto che non si percepisca più, oggi, non è perché essa è svanita, dissolta, finita. Al contrario non si percepisce ancora, perché è temporalmente troppo vicino a noi e il campo visivo della storia è ristretto. La distanza di tempo permetterà in futuro una visione a grand’angolo, globale sul processo storico e cancellerà i particolari inutili e le ombre. Sicuramente, allora, Constantin Brâncuşi avrà la sua giusta collocazione e si vedranno meglio gli effetti delle sue esperienze e dei suoi insegnamenti sul percorso e l’evoluzione del concetto di scultura, sulle opere realizzate dai posteri.