Quello di Jimmie Durham è un esempio di come una pena può diventare un modello e ricavarne arte. L’artista, vincitore nel 2019 del Leone d’Oro alla carriera per l’arte conferito dalla Biennale di Venezia , infatti, inizia a lavorare con le pietre in Giappone, nel carcere di Yokohama, quando come detenuto è chiamato a spaccar massi per scontare la sua pena.
Quel momento, oggi mitico per il racconto di uno dei protagonisti dell’arte del nostro tempo, segna l’avvio di un sodalizio fra la pietra, madre degli strumenti umani, e l’artista. Nel tentativo di costruire un’altra storia del pensiero, più libera e poetica di quella raccontata dalla storia della civiltà, Durham usa le pietre per liberare energie espressive e suggerire insolite narrazioni.
Kappanoun omaggia Durham promuovendo e ospitando presso il proprio Spazio a San Lazzaro di Savena, Bologna, una mostra composta da una selezione di opere provenienti da collezioni private italiane. In particolare la mostra pone l’accento sul vitalismo primigenio che nutre la pratica dell’artista e lo spinge ad usare la materia come puro atto. La mostra, che rientra nel progetto di Art City e ArteFiera di Bologna, è accompagnata da una pubblicazione con un testo di Denis Isaia.