Tiziano, il polittico Averoldi e la pittura del Cinquecento a Brescia


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Tiziano, Polittico Averoldi, c. 1520-1522, olio su tavola, cm 280 x 270, Brescia, chiesa dei santi Nazaro e Celso © BAMSphoto-Rodella

Si preannuncia come una delle più interessanti mostre del 2018 quella che aprirà i battenti il 21 marzo e proseguirà sino al 1 luglio al Museo di Santa Giulia. Già il titolo fuga ogni dubbio “Tiziano e la pittura del Cinquecento tra Venezia e Brescia”. Il progetto espositivo, curato da Francesco Frangi, ruoterà attorno al maestro veneto, in virtù delle due imprese da lui eseguite nella città lombarda: il polittico Averoldi nella collegiata dei Santi Nazaro e Celso e le tre tele con le Allegorie di Brescia per il salone della Loggia, andate distrutte nell’incendio del 1575.

Strettamente collegata alla mostra la riapertura della Pinacoteca Tosio Martinengo che ritorna nella sue sede storica di piazza Moretto dopo nove anni di chiusura. Al suo interno trovano spazio i capolavori di Vincenzo Foppa, Lorenzo Lotto, il Moretto, Giovanni Battista Moroni, il Romanino, Giovanni Gerolamo Savoldo e anche due opere di Raffaello. Proprio la Pinacoteca, assieme al Museo Diocesano, la Collegiata dei Santi Nazaro e Celso, il santuario di Sant’Angela Merici e altre chiese di Brescia e del Bresciano, sarà una delle tappe di approfondimento dell’esposizione in Santa Giulia.

Protagonista principale sarà dunque Tiziano, uno degli artisti che più hanno influenzato la pittura del Cinquecento. Anche Giorgio Vasari, notoriamente critico nei confronti della scuola veneta, non poté fare a meno di lodare la sua bravura: «È stato Tiziano sanissimo e fortunato quant’alcun altro suo pari sia stato ancor mai, e non ha mai avuto dai cieli se non favori e felicità», scrisse nelle Vite del 1568. I due si erano conosciuti durante il soggiorno veneziano dell’aretino, avvenuto tra il 1539 e il 1541, e poi avevano incrociato nuovamente le loro strade in occasione del viaggio a Roma di Vecellio.

In questo caso stiamo però parlando dell’ulteriore avanzamento del linguaggio pittorico di Tiziano, palesato con il distacco dal naturalismo e la conseguente adesione al manierismo, complice la conoscenza con l’arte romana. È nel primo decennio del Cinquecento che la maggior parte degli artisti bresciani subisce l’attrattiva del maestro veneto, la cui attività era già nota dalla giovanile frequentazione in laguna di molti di loro, Romanino e Moretto in primis, mentre Savoldo in quegli anni già si era trasferito a Venezia.

L’opera di Tiziano che rappresenta un autentico spartiacque nella pittura bresciana è senza ombra di dubbio il polittico che il legato pontificio Altobello Averoldi commissionò all’artista nel 1520. All’epoca egli aveva già realizzato capolavori come il Concerto campestre (1509-1510), Le tre età (1512-1513), Amor sacro e Amor profano (1514-1515), Assunta (1516-1518) e stava lavorando alla Pala Pesaro, poi ultimata nel 1526, e a diversi ritratti per privati. Ma è dal polittico Averoldi che bisogna partire per comprendere gli esiti futuri della pittura bresciana nel Cinquecento.

La figura centrale è quella di Cristo risorto, la cui posa rimanda in modo evidente al gruppo plastico di fattura ellenistica del Laocoonte, rinvenuto nel 1506 a Roma durante gli scavi nei pressi della Domus Aurea di Nerone, ma anche alla Trasfigurazione di Raffaello. È un Cristo trionfante che impugna la bandiera del Cristianesimo che sancisce la vittoria della vita sulla morte. Il suo incarnato richiama il San Sebastiano sul pannello di destra, anch’esso debitore della statuaria antica e pure dei Prigioni michelangioleschi. È sulla colonna dove si è compiuto il martirio del santo che troviamo la firma “Ticianus Faciebat / MDXXII”. Sulla sinistra più in ombra i santi Nazaro e Celso, insieme al committente. Nei pannelli superiori l’Annunciazione con l’angelo in quello di destra e la Vergine in quello opposto. Tutto l’insieme forma un movimento di luci e chiaroscuri che converge nella sommità della composizione in cui è raffigurato Cristo.

Il percorso della mostra “Tiziano e la pittura del Cinquecento tra Venezia e Brescia”, che indaga in particolar modo i dipinti per la devozione privata attraverso sei sezioni, è arricchito da oltre cinquanta capolavori, provenienti da importanti istituzioni museali, italiane e internazionali, come la Pinacoteca di Brera, il Museo Poldi Pezzoli e le Civiche Raccolte d’Arte del Castello Sforzesco di Milano, i Musei Capitolini e la Galleria Borghese di Roma, la Galleria Palatina di palazzo Pitti di Firenze, l’Accademia Carrara di Bergamo, il Museo di Palazzo Bianco e di Palazzo Rosso di Genova, le Gallerie dell’Accademia di Venezia, la Pinacoteca Ala Ponzone di Cremona, la Galleria Sabauda di Torino, il Museo del Prado di Madrid, il Liechtenstein Museum e il Kunsthistorisches Museum di Vienna, il Museo di Belle Arti di Budapest, il Museo Puškin di Mosca, la National Gallery di Washington.

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