Giovanni Boldini macchiaiolo pre-parigino a Villa Falconiera


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Giovanni Boldini (Ferrara 1842 – Parigi 1931), Scorcio della stanza (Decorazione della sala da pranzo della Falconiera), 1868, Tempera su muro, Pistoia, Musei dell’Antico Palazzo dei Vescovi

Inaugurerà sabato 9 settembre e proseguirà fino al 6 gennaio 2018 al Museo dell’Antico Palazzo dei Vescovi di Pistoia (Capitale Italiana della Cultura 2017) “Giovanni Boldini. La stagione della Falconiera”. La mostra, organizzata grazie al Gruppo Intesa Sanpaolo, è curata da Francesca Dini con la collaborazione di Andrea Baldinotti e Vincenzo Farinella. Si lega idealmente all’altra mostra di Boldini in corso di svolgimento alla Reggia di Venaria. Diverso però è il contenuto. Se là il percorso espositivo è prettamente antologico, a Pistoia invece è incentrato su un tema specifico: il ciclo di pitture murali a tempera, databile sul finire degli anni ’60 dell’Ottocento, che l’artista ha eseguito presso la Villa Falconiera, così chiamata dalla proprietaria di allora, la mecenate inglese Isabella Falconer.

Si tratta di una delle ultime esperienze italiane di Boldini che nel 1871 si trasferì a Parigi dove ottenne le fortune maggiori, divenendo uno degli interpreti di spicco della Belle Époque, in particolar modo come ritrattista. In Francia Boldini ci era andato su richiesta del mercante d’arte Goupil, ma ci era già stato nel 1867 per l’Esposizione Internazionale. In quell’occasione aveva avuto modo di vedere coi propri occhi i lavori degli impressionisti e di Degas soprattutto, per il quale nutriva profonda ammirazione e che aveva avuto modo di conoscere qualche anno prima durante il soggiorno fiorentino del pittore francese. Nel quadro “Alaide Banti in abito bianco” (del 1866 e presente in mostra) sono evidenti gli influssi e i richiami alla “Famiglia Bellelli” che Degas iniziò proprio a Firenze prima del 1860.

In quegli anni la città toscana è in grande fermento artistico soprattutto grazie ai Macchiaioli. Boldini, insofferente alla vita provinciale di Ferrara, partecipa alle riunioni che si svolgono al Caffè Michelangiolo, ma non aderisce del tutto alla corrente come altri suoi colleghi (Fattori, Lega, Signorini). Assimila la lezione luministica, ma non accetta di buon grado quella paesaggistico-naturalistica, preferendo fin da subito orientarsi sul ritratto. Non a caso Telemaco Signorini, commentando “Alaide Banti in abito bianco” apprezzerà lo sfondo e l’ambiente, ma biasimerà l’eccessiva freschezza del colorito, data appunto dal vestito e dall’incarnato della protagonista dell’opera.

L’irrequieto Boldini, già con lo spirito e il corpo rivolti a Parigi, si muove parecchio per la Toscana. A Pistoia incrocia la strada di Isabella Falconer che gli chiede di decorare la sala da pranzo della sua villa. L’allora venticinquenne artista, smanioso di mettersi al lavoro, accetta senza indugi, salvo poi dimenticarsi qualche anno dopo addirittura il nome della città («inizia sicuramente con la lettera P, ma il resto non lo ricordo»). Nel frattempo la famosa sala da pranzo era diventata una rimessa di attrezzi agricoli, destino voluto dai repentini cambi di proprietà. Bisogna ringraziare Emilia Cardona Boldini (vedova del maestro e sua prima biografa) che alla fine degli anni ’30 del Novecento si mette alla ricerca di questo ciclo. Lo trova, quasi per caso, e nel 1938 acquista la villa trasferendo tutti gli oggetti, salvo ovviamente le pitture murali, a Parigi. Bisognerà attendere il 1974, anno in cui l’intero corpus decorativo venne restaurato, staccato dalla sua sede e trasferito al Museo dell’Antico Palazzo dei Vescovi.

La mostra pistoiese prende a pretesto il ciclo della Falconiera per indagare più a fondo il periodo pre-parigino di Boldini con un occhio di riguardo al suo rapporto coi Macchiaioli. I visitatori potranno così ammirare da vicino non solo i dipinti provenienti dalla villa, ma anche sedici capolavori realizzati durante gli anni toscani (dal 1864 al 1871), ora in collezioni private e in pubblici musei. Tra questi la “Marina” (1870) custodita a Milano, che ha una trasposizione a tempera in una scena nel ciclo della Falconiera; i ritratti di Telemaco Signorini (1870) e di Cristiano Banti (1866), custoditi presso la Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti a Firenze, artisti, legatissimi al Boldini, tanto da averlo sostenuto e promosso non solo durante il suo soggiorno toscano; l’innovativo “Giovane paggio che gioca con un levriero” (1869); il già citato “Alaide Banti in abito bianco” (1866) e il superbo ritratto del “Generale Spagnolo”, eseguito durante l’inverno trascorso in Costa Azzurra con la signora Falconer, tra novembre 1867 e marzo 1868 e considerato il capolavoro che ha proiettato il giovane Boldini nell’emisfero dei più grandi ritrattisti di tutti i tempi.

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