L’orrore della Shoah nell’opera di Charlotte Salomon


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Charlotte Salomon, Autoritratto, 1940, Collection Jewish Historical Museum, Amsterdam © Charlotte Salomon Foundation Charlotte Salomon®

Dopo essere stata accolta al Centre Pompidou e al Museo Ebraico di Parigi, alla Whitechapel Art Gallery e alla Royal Academy di Londra, al Museo Ebraico di Berlino e in varie altre città tedesche e di tutto il mondo, anche in Italia arriva la prima mostra di Charlotte Salomon. Dal 30 marzo al 25 giugno Palazzo Reale a Milano ospiterà “Vita? o Teatro?”. Circa 270 tempere e decine di fotografie storiche che ripercorrono l’orrore e l’inferno della Shoah di cui fu vittima la giovane artista ebrea. È difficile raccontare qualcosa di così atroce sapendo che né le parole e né le immagini riusciranno mai a rendere l’idea di cosa fosse realmente. Theodor Adorno affermò che «scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie». Tuttavia Charlotte Salomon non solo ci ha provato, ma ha raggiunto il suo scopo. Un’impresa titanica considerando la sua vita travagliata e in quali condizioni è stata costretta a operare.

Figlia del medico universitario Albert e della musicista amatoriale Franziska Salomon (la matrigna Paula Lindberg era una celebre cantante d’opera), Charlotte nasce a Berlino il 16 aprile 1917. Dopo gli studi liceali frequenta dal 1935 al 1938, unica allieva ebrea ammessa, l’Accademia di Belle Arti di Berlino. Nel 1939 a causa delle persecuzioni razziali lascia la Germania per rifugiarsi dai nonni materni a Villefranche-sur-Mer, vicino Nizza. Qui i giorni spensierati vengono cancellati da una terribile rivelazione a seguito del suicidio della nonna: Charlotte scopre infatti che anche la madre e la giovane zia di cui aveva preso il nome erano morte nello stesso modo.

Per lei uno shock che, unito agli eventi infausti della sua epoca e alla sua sorte di perseguitata, la spinge a concepire e realizzare la sua grande opera autobiografica, “Leben? oder Theater?” (Vita? o Teatro?). Si tratta di un lungo racconto pittorico integrato da dialoghi teatrali, intersezioni letterarie e indicazioni musicali che si compone di ben 1.325 documenti tra tempere, veline, annotazioni, varianti pittoriche e altre prove, con una scelta di quasi 800 tempere selezionate dall’autrice quali immagini del racconto definitivo. Ultimato da pochi mesi l’immenso lavoro, a fine settembre 1943 Charlotte viene arrestata dalla Gestapo insieme al marito Alexander Nagler e condotta ad Auschwitz. Il 10 ottobre, incinta di alcuni mesi, Charlotte giunge nel campo di sterminio, dove con ogni probabilità viene uccisa il giorno stesso.

Fortunatamente la sua opera è sopravvissuta. Affidata prima dell’arresto al medico di Villefranche-sur-Mer, pervenne in America alla dedicataria Ottilie Moore, che dopo la guerra la donò al padre, sopravvissuto alla guerra e allo sterminio degli ebrei con la fuga in Olanda. I familiari di Charlotte decisero di affidare “Vita? o Teatro?” dapprima al Rijksmuseum di Amsterdam, sino a quando nel 1971 l’opera passò al nuovo Jewish Historical Museum della stessa città, dove è tuttora conservata a cura della Fondazione Charlotte Salomon.

Il curatore della mostra è Bruno Pedretti, autore del romanzo “Charlotte. La morte e la fanciulla” (pubblicato da Giuntina nel 1998 e ristampato da Skira nel 2015), che ripercorre la vita di questa sfortunata artista che va rivalutata «perché ci ricorda che l’insopprimibilità del male è sempre in agguato». Un male che il più delle volte non è machiavellico come ci piace immaginare, ma banale e quotidiano.

La mostra “Vita? o Teatro?” è promossa e prodotta dal Comune di Milano Cultura, Palazzo Reale e Civita Mostre, in collaborazione con il Jewish Historical Museum di Amsterdam.

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