La scoperta di Tito Balestra


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Tito Balestra

Longiano è un piccolo paese di poco più di settemila abitanti che si trova tra Cesena e Rimini. Dal colle su cui sorge è possibile avere un’ampia panoramica della riviera romagnola, ma pur trovandosi nelle immediate vicinanze vive un altro tempo e un altro spazio rispetto al caotico baccano prodotto dall’industria del divertimento che ha in Cesenatico e Milano Marittima i suoi centri più frequentati. Un borgo tranquillo come ce ne sono tanti (o sempre meno, potrebbe obiettare qualcuno), dove la sera ci si ritrova ancora a parlare fuori dalle case.

Eppure Longiano è un piccolo scrigno che custodisce tesori sconosciuti a chi viene da fuori. C’è ad esempio il Teatro Petrella, qualcosa in più di duecento posti, ma palcoscenico privilegiato dove sono passati i più grandi artisti, cantanti e poeti. Pochi sanno che proprio a Longiano Fabrizio De André nel 1995, insieme a Ivano Fossati, ha registrato in una chiesa sconsacrata la pre-produzione di “Anime salve”, il suo ultimo album.

Poi c’è il castello Malatestiano che dal 1200 osserva e controlla dall’alto la vita dei longianesi: «Oggi da quassù, / lancio un’occhiata al monte / un’occhiata al mare, / poi strillo come i rondoni», scriveva in dialetto (qui tradotto per ovvie ragioni) il poeta locale Sante Pedrelli. Lì fino a pochi anni fa aveva sede il Comune, ma dal 1989 le sue sale ospitano la Fondazione Tito Balestra che ha il compito di custodire, tutelare e valorizzare una collezione che vanta duemilatrecentodue opere d’arte del Novecento italiano, ma non solo.

Chi era Tito Balestra? Un poeta sicuramente (“Se hai una montagna di neve tienila all’ombra”, “Quiproquo”, le sue principali raccolte pubblicate a metà degli anni ’70), tuttavia definirlo solo come tale equivale a sminuire la personalità di uomo contraddistinto da molteplici sfaccettature. Tito Balestra amava la vita e i suoi piaceri, prova ne siano le fotografie che lo ritraggono spesso con il sigaro in bocca o con gli amici davanti a un bicchiere di vino. Soprattutto amava l’arte (lui stesso dipingeva in modo egregio). Grazie a questa fortunata combinazione di giovialità e di genuino interesse per tutto e tutti – i suoi concittadini quando lo descrivono ne parlano tutti come “uno che sapeva farsi voler bene” – per Balestra non è stato difficile circondarsi di persone che, al pari suo, condividevano le medesime passioni.

Già preponderante in giovinezza, tale aspetto si accentua dal 1946 in avanti quando si trasferisce a Roma per lavoro. Salvo un breve soggiorno in Francia, è tra la Capitale e il “natio borgo selvaggio”, dove era nato nel 1923 e dove morirà nel 1976, che Balestra trascorre la sua esistenza. A Roma inizia presto a collaborare con alcune delle principali riviste e sempre lì si sposa con l’amata Anna Maria, con Mino Maccari come testimone di nozze. Oltre a quest’ultimo, è lungo l’elenco di amici che entrano nella sua orbita. Le opere di molti di costoro si ritrovano ora nella Fondazione di Longiano.

Un’immagine della Fondazione a Longiano

Di Maccari il corpus più consistente. Poi, tra dipinti, incisioni, sculture, troviamo anche Renato Guttuso, Filippo De Pisis, Massimo Campigli, Giorgo Morandi, Mario Mafai, Giorgio Amelio Roccamonte, Ottone Rosai, Antonio Vangelli, Renzo Vespignani, Giacomo Manzù, Felice Casorati, Enrico Baj, Alberto Sughi (che ritrae Balestra ormai malato a letto con un drammatico disegno dal tratto scarno ed essenziale) ma anche qualcosa di Matisse, Chagall, Léger e finanche un Goya, solo per menzionarne alcuni.

Sui tre piani del castello è spalmata buona parte della Storia dell’Arte italiana del Novecento, in particolar modo quella prodotta dopo la Guerra, un periodo che Balestra ha attraversato con la curiosità e la voracità tipiche di una generazione che sapeva di dover vivere la vita in tutta la sua pienezza, sempre con un forte senso di libertà, ma al tempo stesso consapevole che tutto era labile ed effimero.

Non è semplice descrivere uomini come lui, allora lasciamo che siano i suoi versi a farlo in maniera assai più efficace: «Non amo comandare / e non amo servire, / per mia fortuna vivo / come se non contassi. // Ma la buccia che reggo / è fragile e ingombrante, / trova sempre uno spigolo / per farsi lacerare». Ecco, questo e altro ancora era Tito Balestra.

Sito internet: http://www.fondazionetitobalestra.org

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