Marco Almaviva. Pittura oltre il supporto, dalla Filoplastica agli Artefatti


Stampa

La Casa della Cultura di Milano, in collaborazione con FYINpaper.com (Daily Geoculture Review), propone, fino al 4 giugno, la mostra di Marco Almaviva “Pittura oltre il supporto, dalla Filoplastica agli Artefatti”, realizzata a cura di Aldo Gerbino e Marco Marinacci
.

Almaviva, Palpito Primordiale, 1967 olio su tela cm 200×160

Marco Almaviva nasce a Novi Ligure nel 1934 e, pur avendo una formazione tecnico-scientifica, alla fine degli anni Cinquanta matura i suoi interessi artistici. Sono gli anni in cui frequenta l’ambiente di Brera. Entra in contatto con Francesco Messina, frequentandone lo studio, anche perché interessato ai nuovi materiali che lo scultore siciliano privilegiava.

Nei primi anni Sessanta, a Milano, Almaviva entra in contatto con Peppino Ghiringhelli (galleria Il Milione), conosce Carlo Carrà, Dino Buzzati e gli ambienti avanguardistici, in particolare gli spazialisti. Alla metà di quel decennio conosce il critico Giorgio Kaisserlian, riferimento per l’opera di Fontana e lo Spazialismo. Ma si fa forte nell’artista l’esigenza di una ricerca linguistica e poetica autonoma con cui esprimere il suo rapporto con la natura nel modo in cui la sente, come forza, violenza e sopraffazione. E così, tra il 1966 e il 1967, mette a fuoco una ricerca che chiama Tonaltimbrica: affida al tono le masse pittoriche dello sfondo alle quali e al timbro il suo segno pungente. Inoltre, Almaviva interviene nella base tonale del dipinto con un colore puro e intenso che assume una funzione strutturante.

Esordisce nel 1967 a Milano, alla Rotonda della Besana, nell’ambito della rassegna “Il paesaggio nell’arte contemporanea”, dove espone “Palpito primordiale”, dipinto emblematico della sua sensibilità tonaltimbrica. Nel 1969 si trasferisce a Genova, dove continua a dipingere e fonda la Galleria Amaltea votata alla documentazione della propria attività. Inoltre, comincia a elaborare il concetto di Filoplastica. Esso segna il passaggio dall’immediatezza del dato naturale all’indagine in profondità della materia. In breve, attua una metamorfosi del segno tonaltimbrico che volge verso il filamento, sinuoso e sottile, che si fonde con la base cromatica.

Nel 1979 si trasferisce a Borgo a Buggiano, in Toscana, dove prosegue l’attività di ricerca che nei primi anni Ottanta si concretizza in due fondamentali cicli pittorici, “Le forme dal mondo tolemaico” e “La materia dei Lembi”. Si tratta di enfatizzazione di quella materia cristallina e impalpabile che costituisce il tratto distintivo della Filoplastica. Nel 2001 è stato costituito l’Archivio Almaviva. Nel 2019 nasce la sua ultima ricerca che viene ufficialmente presentata nel capoluogo ligure, allo Spazio46 di Palazzo Ducale nella cui occasione Paolo Bensi e Sandro Ricaldone presentano tre opere di Marco Almaviva basate su una pittura che precede la formazione del supporto. È una ricerca il cui seme risale al 1965. Già allora, Almaviva concepisce, con Giorgio Kaisserlian, l’idea del dipinto da realizzare senza il presupposto di una superficie precostituita su cui stendere il colore. Non c’è dubbio che gli stimoli di fondo in questa direzione vengono da Lucio Fontana, anche se Almaviva non frequenterà mai i territori dello Spazialismo, pervicace, sempre, nel cercare una sua propria via. Ecco, così, nel 2019, in un terreno si direbbe di corsi e ricorsi storici, gli “Artefatti”, insistenti sulla serie chiamata “Lineari -Literal texture” (2020) e la serie chiamata “Rectoverso-Literal texture” (2021), entrambe precedute dagli “Archetipi” (2018-2019). Nel 2022 le edizioni FYINpaper e Innerself, Milano-Adelaide, pubblicano la monografia Marco Almaviva, The Filoplastica and its Developments, curata da Gérard-Georges Lemaire e Carmelo Strano.

Share Button