La mostra antologica “Ivano Fabbri e i suoi intercessori”, che in oltre ottanta opere racconta gli ultimi quindici anni della ricerca dell’arista bolognese, fino al 24 marzo è ospite del Castello di Belgioioso, celebre dimora viscontea in provincia di Pavia costruita nel XIV secolo.
L’avventura delle forme d’acciaio di Ivano Fabbri ha seguito sentieri febbrili, quasi precipitosi. Ed è quasi paradossale parlare di un percorso antologico in un tempo così breve. Eppure, le trasformazioni interne a questa ricerca sono tali da indurre uno sguardo prospettico molto lungo, per quanto illusorio. E l’illusorio è parte integrante di questa poetica. Evidentemente, è necessaria, ma non sufficiente (non lo è mai), la diuturna dedizione al lavoro dell’artista, impegnato tra progettazione e realizzazione delle sue opere d’acciaio. La varietà e complessità di un simile percorso può forse giustificarsi in una messa tra parentesi del tempo, tale da permettere a Fabbri di creare una profonda sintonia, un vero e proprio processo di contemporaneità con quelle le ricerche che, da subito, ha sentito affini, come l’arte oggettuale dallo Spazialismo di Fontana in avanti, sino alle esperienze cinetiche e programmate: da Bonalumi, Dadamaino, Scheggi, Ormenese, sino a Le Parc, Garcia Rossi, Biasi, Colombo e Boriani, per citarne solo alcuni. La sua straordinaria capacità d’inserirsi in modo inedito e originale nei nodi problematici che rendono quelle poetiche aperte sul futuro, è stata la strategia creativa che ha reso possibile questa febbrile ricerca.
Gli intercessori sono proprio quegli artisti dei quali Fabbri non ha cessato di approfondire i nodi problematici, attraverso i mezzi tecnici che il passato non conosceva. Da subito, infatti, il profilo che si delinea è quello di un artista pienamente consapevole dei nuovi mezzi che la tecnologia mette a disposizione dell’arte, in particolare del laser per la lavorazione dell’acciaio. L’esperienza maturata da Fabbri nella modellazione con Autocad e nell’uso delle macchine utensili di ultima generazione, tra cui proprio quelle al laser, gli permette di sperimentare straordinarie e inedite modalità di trattamento dell’acciaio, nella creazione di opere fatte di spazio e di luce.
Ecco allora che i piani di moltiplicano, aprendosi in tagli, torsioni, luci, producendo una spazialità interna in cui il colore emerge come un fondo improvviso e illimitato; le opere si frammentano, disponendosi nella parete come organismi molteplici che paiono costellazioni; quegli organismi entrano nello spazio come vere e proprie costruzioni scultoree, in un’idea di spazio integrale, persino abitabile.Completa la mostra un catalogo a cura di Leonardo Conti, con la consulenza scientifica di Sara Bastianini, in una collaborazione editoriale tra PoliArt e Eclipse Arte Edizioni di Milano.