È esposta fino al 25 febbraio, nella Pinacoteca dei Musei Capitolini a Roma, la mostra “Goya e Caravaggio: verità e ribellione”, che pone per la prima volta uno a fianco all’altro la “Buona Ventura” di Caravaggio e il “Parasole” di Francisco Goya concesso in prestito dal Museo Nazionale del Prado di Madrid Roma.
Questo progetto espositivo intende mettere in risalto come i due grandi artisti si fecero magistrali interpreti della società del loro tempo, introducendo nel loro linguaggio figurativo rivoluzionarie novità iconografiche e stilistiche. Tante le analogie: entrambe le tele appartengono alla loro attività giovanile, in entrambe i protagonisti sono una donna e un uomo, entrambe descrivono con “verità” una scena di vita quotidiana della società contemporanea e, infine, entrambe rivelano quei sintomi di “ribellione” nei confronti dei condizionamenti iconografici e stilistici imposti dalle consuetudini e regole accademiche del loro tempo. Un confronto ardito tra due opere tanto lontane nello stile e nel tempo (sono distanti circa 180 anni), ma che annunciano ciascuna il passaggio verso una nuova epoca: se Caravaggio può essere considerato il primo pittore moderno, Goya fu invece il primo dei “romantici” e colui che aprì la strada verso l’arte contemporanea. L’iniziativa “Goya e Caravaggio: verità e ribellione” è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e gli apparati didattici sono a cura di Federica Papi e Chiara Smeraldi. Organizzazione di Zètema Progetto Cultura. Il Parasole El Quitasol, titolo spagnolo del dipinto, è uno dei cartoni preparatori realizzati da Goya per il ciclo di arazzi destinati a decorare la sala da pranzo del Palazzo del Pardo a Madrid, la residenza di caccia dei principi delle Asturie: il futuro re Carlo IV e sua moglie Maria Luisa di Parma. Alla semplicità del soggetto fa riscontro l’assoluta libertà dell’invenzione, non più temi di caccia o composizioni allegoriche come voleva la tradizione nordica fiamminga, ma scene e figure ispirate al mondo reale e alla società contemporanea spagnola. La giovane donna protetta dall’ombrellino, oggetto di gran moda nel XVIII secolo, è infatti una maja, cioè una donna del popolo, che indossa un elegante e sfarzoso abito di foggia francese come avveniva in Spagna nei giorni di festa. La donna si mostra in tutta la sua bellezza al giovane majo vestito con il tipico abbigliamento madrileno e al pubblico a cui sembra rivolgere un civettuolo sguardo. Luci e colori sono senza dubbio i principali protagonisti del dipinto e rivelano la conoscenza di Goya della pittura antica, in particolare di quella rinascimentale veneziana, ma non solo. Se l’influenza di Tiepolo e della pittura francese appare evidente nell’ariosità del dipinto, l’interpretazione profondamente realistica, il tema della seduzione, la tecnica pittorica con il colore steso direttamente sulla tela con la preparazione lasciata a tratti a vista, così come gli effetti di luce ottenuti con il bianco di piombo e il vivace gioco degli sguardi farebbero quasi pensare che l’occhio del maestro spagnolo si sia poggiato per un attimo anche sulla Buona Ventura di Caravaggio quando circa sei anni prima (1770-1771) venne in Italia e risiedette a Roma, dove frequentò la Scuola del Nudo in Campidoglio nella cui celebre Galleria la Buona Ventura già vi era conservata.