Candice Lin (Concord, MA, 1979) è la vincitrice della VI edizione del Premio Arnaldo Pomodoro per la Scultura e, fino al 18 giugno prossimo, espone alla GAM, Galleria d’Arte Moderna di Milano, l’installazione Personal Protective Demon, a cura di Federico Giani, curatore della Fondazione Arnaldo Pomodoro.
La scelta del luogo all’interno del percorso di visita del museo non è casuale: nel suo lavoro, infatti, l’artista è solita studiare e ispirarsi a realtà marginali o dimenticate, riflettendo su oggetti e materiali ricchi di storie e di connotazioni socio culturali, che l’osservatore ritrova poeticamente trasfigurate nelle sue sculture.
Personal Protective Demon (PPD) è un monolite in finto marmo, un omaggio alle tecniche decorative che caratterizzano gli interni della GAM, posizionato, come una sorta di totem o idolo, a guardia di uno spazio connettivo e liminare della Galleria d’Arte Moderna. La scultura, sovrastante lo scalone ellittico, è avvolta da tessuto serico color indaco che, grazie all’azione di ventilatori nascosti, si solleva a intermittenza svelandone le sembianze ibride e mostruose, tra l’umano e l’animale.
Nella definizione dell’aspetto di PPD, caratterizzato dalla presenza di molteplici volti e genitali mostruosi, Candice Lin ha fuso e rielaborato spunti provenienti da luoghi e storie diverse: dalle raffigurazioni di alcune divinità mitologiche greche e celtiche che rivolgono verso lo spettatore una vulva sovradimensionata, alle spille apotropaiche con paradossali raffigurazioni di carattere sessuale diffuse nell’Europa medievale, fino alle immagini di fantasiosi simulacri demoniaci tramandati da alcuni resoconti settecenteschi di viaggiatori occidentali in Oriente.
In un mondo che continua a essere affetto dagli strascichi della pandemia, ritrovandosi sempre più proiettato verso prospettive di individualismo digitale, da un lato Personal Protective Demon attinge a un variegato insieme di storie e tradizioni, reinterpretandolo e riattivandolo, per assumere una funzione apotropaica, mentre dall’altro, nel suo periodico velarsi e svelarsi, l’installazione si ricollega a una dimensione della fruizione dell’arte – e della scultura in particolare – non meramente estetica ma catartica, quasi cultuale e collettiva.
Come l’idolo-monolite, anche il velo di seta color indaco che lo avvolge nasce da un processo di critical fabulation, metodologia di ricerca e di lavoro attraverso la quale Lin struttura le sue opere, sempre radicate in un’indagine approfondita della storia reale di persone e manufatti, di materiali e tecniche artistiche tradizionali, e soprattutto dei fraintendimenti e delle distorsioni che caratterizzano da sempre i rapporti interculturali tra Occidente e Oriente.
La seta di PPD, decorata con un motivo inventato da Lin combinando tra loro elementi propri della produzione serica orientale a partire da descrizioni di osservatori occidentali, è realizzata seguendo un metodo di tintura della tradizione giapponese tramite stencil, detto Katazome, e si appoggia allo studio condotto da Lin su collezioni museali che conservano sia tessuti orientali, sia tessuti realizzati in Oriente per il mercato occidentale così come tessuti realizzati in Occidente alla “maniera orientale”.