Serse. Bianchi e Neri


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La Reggia di Colorno (Parma) propone, fino al prossimo 11 giugno, un raffinato racconto in bianco e nero di Serse (San Polo di Piave, 1952). Sono “paesaggi dell’anima” quelli che l’artista triestino propone in questa mostra, realizzata a cura di Didi Bozzini. Offrendo un percorso attraverso quei paesaggi, dalla natura incontaminata fino all’architettura che li abita e ne interpreta il senso.
La mostra è organizzata da Antea con la direzione di Antonella Balestrazzi, il patrocinio di Provincia di Parma, la collaborazione di Galleria Continua e il sostegno di Gruppo Spaggiari Parma s.p.a., Agenzia CFC, Reale Mutua, Parma. Il catalogo è edito da Gruppo Spaggiari.
Scrive il curatore: “I disegni di Serse non sono gli esercizi di un virtuoso iperrealista, ma le pagine di un racconto. Da leggere, da “ascoltare con gli occhi”, come se fossero i fogli del diario di un calligrafo. Oppure, le annotazioni minuziose di una fenomenologia dello sguardo. O ancora, i versi di un poema romanticamente ispirato alla sublimità della natura. Una scrittura di pietra, di luce e d’acqua, che parla della mente, dell’occhio e della mano. Un racconto con una sola voce narrante, diversi scenari e più strati di significato”.

Serse, A fior d’acqua, 2014, grafite su carta su alluminio, cm 100×142, Courtesy l’artista e Galleria Continua


“La superficie monocroma è invariabilmente in bianco e nero. Screziata dalla vibrazione delle tonalità di grigio che il chiaroscuro genera tra il bagliore e la tenebra, in un’apparente assenza di colore. Solo apparente, perché in realtà quelle nuances di perla o d’antracite sono veri e propri colori, i colori del pensiero. Cioè le sfumature della riflessione con cui l’artista tramuta le cose prima in idee e poi in figure. Perché, come ricordava Annibale Carracci, “disegnare è pensare con le mani”.
“Lo strumento di lavoro privilegiato, pressoché unico, è la matita di grafite. Prolungamento minerale della mano, che deposita sul foglio bianco le tracce della propria fatica. I sedimenti di un tempo lungo, meditativo, in cui il fare assume la forma di una liturgia laica. Ripetuta all’infinito, fino all’incantesimo. Fino all’apparizione di un’immagine della realtà, che sembra una fotografia, ma è un disegno. Il disegno di una fotografia”.
Mentre Serse precisa: ”Sono attratto dalla sublimità della natura, dalla smisuratezza che la distingue e che ci attraversa lasciando in noi indelebili i segni della sua grandezza.
I paesaggi che disegno non rinviano ad alcunché di esterno, ma a quella “immensità interiore” così cara alla poetica romantica. Sono dunque paesaggi dell’anima.”

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