Il Madre di Napoli, museo d’arte contemporanea della Regione Campania, ospita fino al 31 maggio la mostra “Ugo Marano. Le stanze dell’utopia”, a cura di Stefania Zuliani e Antonello Tolve.
Questa mostra, voluta anche dal Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, propone oltre quaranta opere, tra sculture, installazioni, disegni, dipinti e libri d’artista dalla fine degli anni Sessanta al 2010 danno vita ad un vero e proprio racconto del lavoro di Marano. Un percorso di arte e di pensiero che ha riconosciuto nell’utopia la sua forza e il suo movente, non strutturato secondo ordine cronologico né in base ad una selezione per tecniche e materie, ma scandito in sette sezioni, in sette idee di Casa, Corpo, Tempo, Arte, Scrittura, Natura, Legame.
Il lavoro di Ugo Marano testimonia uno stretto legame con la natura, matrice stessa del suo agire artistico, la cui energia metamorfica non viene rappresentata tal quale, ma tradotta e restituita nella sua vitalità. Nel 1969 Marano ha scelto la ceramica per ricreare l’orizzonte instabile del mare dando vita al primo antipavimento, e tante volte nel corso degli anni ha continuato ad affidare alla ceramica il suo racconto marino: la musicale sequenza di “Onde” (1981) qui esposta ne è prova lampante.
La ceramica diviene testimonianza anche del rapporto dell’artista con il territorio e con alcuni elementi della sua tradizione: sono ricorrenti, infatti, opere che rimandano all’esperienza dei Vasai di Cetara e a Rufoli, terra di argille pregiate dove la cottura della terracotta è un’arte e un rito collettivo, come racconta il Museo Città Creativa di Ogliara che proprio in Marano ha avuto il suo ispiratore. In mostra sono presenti alcune opere che rimandano alla sua ricerca condotta sul vaso, parte di una ben più ampia serie che l’artista ha realizzato agli inizi degli anni 2000.
Altro elemento ricorrente, ben riconoscibile nel percorso espositivo, è la sedia, emblema di una visione dell’arte che non tende ad ottenere un facile risultato ma a elaborare senza sosta nuove strategie di vita e di pensiero.
La scrittura, il segno che diviene disegno e parola sulla pagina bianca o sulla superficie dell’opera, accompagna tutto il percorso di Ugo Marano. L’esercizio della scrittura ha per l’artista un valore almeno duplice, rappresentando sia il momento di analisi delle ragioni e delle procedure che conducono all’opera sia lo spazio di un’invenzione libera, giocosa, a volte ironica ma sempre poetica. Due momenti che non si escludono a vicenda e che spesso convivono nello stesso testo.
Che si sviluppi nelle pagine spesso quadrate e minute dei tanti libri realizzati in edizioni artigianali e volutamente povere, fogli fotocopiati e piegati con cura, dove alla copertina segue talvolta una pagina d’amore e non di tipografico rispetto, o che s’incida con pazienza nella materia, come accade nell’opera “Papà non c’è” (1987), abbraccio di parole e di umile terra che tuttora accoglie i visitatori della casa studio di Capriglia, la scrittura è per Marano l’occasione di un dialogo necessario. A chi si avvicina alla sua opera Marano richiede un’assunzione di responsabilità, proponendo un lavoro di lenta cucitura e contestualmente uno sforzo di congiunzione di cui Ego strumento è insieme immagine e risultato, persino manifesto, grazie alle riflessioni che vi si avvolgono in sinuosa scrittura.