Grazie al progetto ideato e promosso in collaborazione tra il Museo Novecento di Firenze e il Museo del Novecento di Milano, con la curatela di Danka Giacon e Sergio Risaliti, in occasione del 1° maggio, Festa Internazionale dei Lavoratori e fino al 30 giugno, il Museo Novecento di Firenze espone nel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio la grande tela di Pelizza da Volpedo (Volpedo 1868 – 1907) Il Quarto Stato (1898-1902), una delle più celebri opere pittoriche realizzate tra Otto e Novecento, eccezionalmente concessa in prestito dal Museo del Novecento di Milano, dal quale è conservata.
La presenza dell’opera a Firenze trova una sua giustificazione storico-artistica proprio nelle vicende biografiche dell’artista che qui soggiornò frequentando l’Accademia di Belle Arti, sotto l’insegnamento di Giovanni Fattori, entrando in contatto con i capolavori del passato e studiando le tecniche artistiche moderne.
Il Quarto Stato viene presentato al pubblico per la prima volta nel 1902 all’Esposizione internazionale di arte decorativa moderna di Torino. Le speranze dell’artista, che pensava a un’acquisizione regia, vennero ben presto disilluse: l’opera infatti non verrà compresa, ma anzi decodificata come una scena di rivolta o sciopero e quindi ripugnata dai benpensanti e dalle autorità politiche.
Il dipinto rappresenta una risposta ai sanguinosi eventi milanesi del 1898 (quando, durante i moti popolari, il generale Bava Beccaris fece sparare sulla folla provocando una strage) e risente profondamente del socialismo umanitario ed evoluzionistico maturato nel tempo dall’artista.
La folla non è più ritratta in un momento di pacifica protesta ma avanza sicura verso un futuro più sereno. Il “quarto stato”, cui fa riferimento il titolo, è la classe lavoratrice che viene rappresentata attraverso lo scenografico realismo.
Nell’opera le figure, studiate dal vero, simboleggiano la forza e lo spirito utopista del lavoro. Tra di esse vi sono anche donne, madri e bambini, a rappresentare la volontà di cambiare il futuro assegnando alla donna un ruolo altrettanto centrale nella rivendicazione politica e sociale. L’attenzione alla gestualità è evidente e profonda, la vicinanza dei corpi dà un valore di compattezza alla marcia e all’ideale che la muove. Pellizza, infatti, riuscì a combinare un’osservazione indiretta della massa dei contadini, trasfigurandoli secondo il modello precedente della Scuola di Atene di Raffaello la cui iconica espressività scopriamo nelle figure in prima linea.
Con Il Quarto Stato l’opera non ricerca più l’accoglienza del gusto borghese, ma si prefigge la comunicazione dell’urgenza politica e sociale del soggetto, ricorrendo a una tecnica esecutiva moderna, che reinterpreta i modi del puntinismo francese.
Successivamente al debutto sconfortante del 1902, l’opera torna a far parlare di sé in varie occasioni: la prima durante gli scioperi operai dopo la vittoria dei socialisti radicali alle elezioni politiche del novembre 1919 di Milano, un anno prima dell’acquisto dell’opera da parte del comune di Milano. La seconda, quando durante la stesura del primo catalogo nel 1935, con un certo imbarazzo per il soggetto, l’opera viene descritta come “due uomini e una donna con un bambino tra le braccia”.
L’opera è divenuta iconica in seguito all’associazione del grande dipinto a una rinnovata utopia sociale, spesso celebrata nel corso delle manifestazioni per il Primo Maggio. Tra gli omaggi resi a questa tela fortemente rappresentativa, si può infine ricordare lo splendido lunghissimo piano-sequenza posto a sfondo dei titoli di testa di Novecento di Bernardo Bertolucci (1974).
Con Il Quarto Stato termina, per la civiltà figurativa italiana, l’epoca dell’ambiziosa opera d’arte a programma, inizia un’epoca sotto il segno della contestazione. L’opera si prefigge la comunicazione dell’urgenza dei contenuti anche attraverso una proiettiva e moderna tecnica esecutiva.