Massimo Campigli e gli Etruschi. Una pagana felicità


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A Palazzo Franchetti di Venezia, nelle sale del piano nobile di ACP, fino al 30 settembre è in corso la mostra “Massimo Campigli e gli Etruschi. Una pagana felicità”, a cura di Franco Calarota con la supervisione generale di Alessia Calarota, che vuole proporsi come un vero dialogo tra le opere del maestro e gli esempi del passato da cui ha tratto così forte ispirazione.

Le circa 35 opere di Campigli, datate dal 1928 al 1966, si affiancano a una cinquantina di reperti della civiltà etrusca, molti dei quali inediti ed esposti qui per la prima volta, individuati dalla Soprintendente Margherita Eichberg assieme agli studiosi del Comitato Scientifico Leonardo Bochicchio, Simona Carosi, Daniele Federico Maras, Rossella Zaccagnini, affiancati dal direttore di ricerca Arch. Giovanni Cesarini e con la collaborazione di Martina Corgnati. Il catalogo, edito da Silvana Editoriale, si completa con testi di Enrico Mascelloni e Eva Weiss.

Massimo Campigli e gli Etruschi Una padana felicità, ACP, Palazzo Franchetti, Venezia

Quello che si instaura in mostra è un dialogo profondo, poiché le composizioni volutamente arcaicizzanti di Campigli ritrovano le origini della loro ispirazione più profonda nei reperti etruschi esposti con cui condividono una naturale condivisione di atmosfere, segni e colori. Due opere in mostra, “Busto con vaso blu” e “Zingari”, sono del 1928 e segnano chiaramente il passaggio verso una nuova figurazione, che si fa sempre più evidente in opere come “Donne con l’ombrellino” del 1940 fino alla “Donna seduta” del 1961.

La ricchezza tipologica dei reperti in mostra, dai vasi alle statuine, dai gioielli ai sarcofagi, ecc., permette di rintracciare un alfabeto e un universo di legami che, a partire da generali evocazioni, si declinano in riferimenti puntuali nelle diverse sezioni della mostra: la prima dedicata alla figura umana, divisa in gli uomini e le donne; la seconda agli animali, composta da uccelli, cavalli, animali selvatici ed infine la terza con forme e geometrie. Molti dei reperti sono assolutamente inediti e provengono da importanti operazioni di recupero di materiale archeologico, anche da rinomati musei internazionali, e ora nella disponibilità della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e paesaggio per la provincia di Viterbo e l’Etruria Meridionale. Una nota meritano sicuramente due preziosi sarcofagi in terracotta del Museo Civico di Viterbo: un sarcofago fittile femminile della seconda metà del III sec. a.C. e un sarcofago fittile maschile della fine del III, inizio del II sec. a.C.

Attraverso il richiamo di queste formule espressive appartenenti a una gloriosa civiltà passata, l’arte di Campigli rivela una profonda originalità proprio nella coesistenza tra antichi splendori e attualità, immergendo il visitatore in una dimensione dove il tempo sembra fermarsi o scorrere tranquillo in una quiete imperturbabile. Ci mostra un Novecento contemporaneo alle età più antiche del Mediterraneo scrivendo così una pagina molto interessante di quello che l’archeologo Massimo Pallottino ha definito come “romanzo etrusco”, un mito che dal Rinascimento in poi continua ad esercitare una forte fascinazione di generazione in generazione.

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