Diversi


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Una mostra sensoriale sulla comprensione delle diversità personali e altrui è allestita al Museo Burel di Belluno fino al 1 agosto.

L’idea di base della mostra, organizzata dall’Associazione Pomi d’Ottone in collaborazione con il Gruppo Autismo Belluno e curata da Daniela Zangrando, è che non sia utile parlare di persone disabili in contrapposizione a persone normodotate, bensì far riflettere bambini e genitori sul valore della diversità che è in ognuno di noi.

Diversi da chi

Capita spesso, però, che la diversità sia marcata. L’obiettivo della mostra è dare stimoli che guidino i bambini alla comprensione delle proprie diversità, delle diversità altrui (che a volte generano ricchezza, a volte difficoltà) e della solidarietà. La mostra è uno stimolo a capire come ogni bambino può, con gesti semplici e il giusto approccio, alleggerire la vita dei suoi compagni con difficoltà.

La mostra, che si inserisce nel quarto atto del ciclo “Hai paura dell’uomo nero?” si focalizza su quattro figure: Jan Fabre, Alberto Tadiello, Mungo Thomson e Gianni Secco e prende avvio da una successione di tanti piccoli tasselli.

Essa si incunea sulle mostre precedenti, indagando ancora una volta il quadro concettuale complesso e stratificato che l’Om Selvarech ha rappresentato per questo primo anno di programmazione del Museo.
Si può dire che questa mostra ha quattro fuochi. L’opera di Jan Fabre è uno spillo, quasi un tarlo, che porta avanti indisturbato e indifferente il suo compito di sconvolgimento insolitamente garbato e all’apparenza innocuo. Se i lavori di Alberto Tadiello rimbombano nello spazio ponendo l’aria sotto pressione, al limite di una rottura, Mungo Thomson sembra risolvere e diluire la densità, con la leggerezza e la noncuranza di un mago. Il quarto fuoco è Gianni Secco, che non è un artista: è un collezionista, uno studioso. Con lui la faccenda si complica ulteriormente. O forse giunge a destinazione. I pezzi scelti dalla sua collezione spostano di continuo gli sguardi. Pur stando completamente immobili, liberano la tensione. Si son piantati lì, come viventi, come superstiti. Hanno l’acutezza e la precisione di chi è impegnato in incombenze essenziali per la sopravvivenza. Nei loro occhi, però, il cenno a una rigenerazione piena di potenza e bellezza, possibile, o almeno sognabile.
La mostra viene completata da un apparato di approfondimento che si presenta come strumento di lettura, sintesi e apertura della mostra stessa.
Anche per questo quarto atto di “Hai paura dell’uomo nero?”, come per le precedenti mostre, Museo Burel si avvale della collaborazione di un gruppo di studenti dei Licei Renier di Belluno.

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