È presumibile che, portando la cravatta, il personaggio ricorrente nelle opere di Silvano Spessot (Cormòns – GO, 1957) sia un uomo; o forse no, ma una persona che “conta”, ossia colei (persona) che detiene un certo potere e la cravatta rappresenta lo scettro. Come si dice (o si diceva, perché oggi l’espressione non ha lo stesso peso di un tempo e nemmeno lo stesso significato), chi porta i pantaloni, uomo o donna che sia, ovvero chi comanda. E, forse, in questa nostra società che persegue la parità di genere, così almeno l’ufficialità delle intenzioni collettive, non è nemmeno importante fare una tale distinzione.
Anche perché effettivamente il personaggio che si propone e ripropone all’infinito è privo di identità fisica; è It, neutro, stando alla grammatica inglese (perché “esso”, secondo la grammatica italiana, oltre a essere meno efficace presume la versione al femminile “essa”). E nel suo anonimato sintetizza in sé l’essenza dell’umanità.
Questo succede spesso nei dipinti, dove facilmente appare una folla i cui corpi si mescolano, mentre a volte le sculture sono più esplicite e mostrano i due generi umani distinti.
Ne è chiaro esempio la grande scultura (senza titolo) realizzata recentemente, il cui gruppo è formato da una coppia, donna e uomo, che, insieme, governano tre cavalli. Al primo sguardo la visione evoca il sigillo dei Cavalieri Templari, nel quale, però, sono due cavalieri sopra un cavallo, mentre in questa opera i personaggi sono cinque e poggiano tutti sullo stesso piano.
Tale breve dissertazione serve a capire che nelle intenzioni di Spessot le idee sono molto più complesse di quanto la figuratività delle immagini possa suggerire e, perciò, non bisogna fermarsi all’apparenza di un fotogramma poiché esso è un contenitore di un saggio, di un poema, di un romanzo, di un film, di un’opera sinfonica, ecc. Le sue opere sono fortemente mediatiche e si servono dell’estetica e della gradevolezza per comunicare con tutti indistintamente, ma bisogna entrare dentro l’opera stessa per goderne appieno.
Sia nei dipinti che nelle sculture la figura umana rimane il soggetto protagonista e si esprime sempre in forme geometriche, soprattutto tondi e triangoli. Una figura strutturata, alla ricerca della perfezione, ossia della proporzione aurea, così come la natura vuole; una perfezione formale che si esprime anche nell’essenzialità o, volendo, nel minimalismo.
Diverso è per la parte restante dell’opera, da non confondere con lo sfondo, poiché nulla qui è posto in secondo piano. Verrebbe da dire che il corpo fisico della persona si specchia nelle geometrie, mentre il suo pensiero, le sue esperienze, il suo vissuto, i suoi sentimenti e tutto ciò che compone l’anima, si ritma nei percorsi magmatici della materia. Solchi, rilievi, avvallamenti che, in realtà, sono una reale manipolazione plastica ed è difficile definire dipinti opere che meglio si avvicinano al bassorilievo. È vero che la materia impiegata è insolita per la scultura, perché normalmente i pigmenti sono destinati alla pittura. Eppure il modo di plasmare le immagini è simile al modellare scultoreo, il quale segue dei percorsi nient’affatto minimalisti, ma complicati, sinuosi e sempre ritmici, come se ripercorrendo con le dita i solchi scavati si potesse liberare una musica magicamente lì contenuta. Sembrerebbe che su queste opere si eserciti ancora una certa influenza klimtiana, già contaminata dalle volute liberty, ma più pulite, più razionalizzate, più moderne. Tuttavia e diversamente da Klimt, Spessot ama le monocromie e le tenui variazioni e sfumature che intonano poemi delicati, eleganti, ma anche passionali.
La società attuale si determina nelle opere di Spessot in una suggestione pacifica, una reale aggregazione di persone che intendono condividere tempo, spazio, destino; persone non subordinate alle differenze di alcun tipo che perseguono l’ideale, forse utopica, convivenza tra le genti. Questi eserciti, a volte più radi a volte più densi, sembrano aver addomesticato le sovrastrutture culturali e lasciano immaginare all’osservatore qual è il motivo dell’assembramento, delle riunioni, delle riflessioni comuni o del cammino verso un luogo altro dal quotidiano a noi consueto.
E qui emerge un ulteriore aspetto interessante dell’espressione artistica di Silvano Spessot che evade sia dalla figuratività che dall’astrazione e, nello stesso tempo, si esprime con una gestualità studiata, ricercata, mai lasciata al caso nemmeno quando interviene un certo impeto creativo ed esecutivo che agisce sullo strato magmatico con decisione e forza generando segni indelebili, profondi ed eterni.
Capita anche, però, che questi segni si ordinino in strutture geometriche, in reticolati, magari dipinti anziché scavati nella materia e disegnati con linee rette regolari o spezzate che si intersecano sulla superficie condizionando i personaggi, anche sovrapponendosi ad essi. In tal caso deriva la sensazione di restrizione della libertà, di gabbia, di pensiero controllato e forse represso da reti efficaci o persino governato e direzionato. Qui l’uomo, gli uomini, si dispongono come note musicali sul pentagramma, ma non sono statici e il ritmo compositivo si perpetua nei movimenti a volte combattivi, a volte poetici e sempre risoluti con lo sguardo rivolto al futuro.
E verso il futuro camminano anche le processioni umane di alcune opere svolte in orizzontale seguendo lo sviluppo di uno scritto convenzionale che richiama il cammino dell’evoluzione della specie, del pensiero, della civiltà o semplicemente di una narrazione, pur non rifacendosi mai ad una scrittura per grafemi in una lingua comprensibile a pochi, ma con un linguaggio universale che, attraverso gli occhi, arriva direttamente al cuore e al pensiero, dunque ad una comprensione immediata al di sopra di ogni barriera.
Invece, le stele annunciano la centralità dell’uomo, nel senso di umanità, nell’universo. In queste opere il personaggio emerge, quasi trionfante col suo scettro, la cravatta ben evidenziata dal colore contrastante, sul resto dell’immagine con maggiore incisività e diventa signore del creato, capace di vivere e governare come conviene agli esseri possessori di ingegno e facoltà intellettive e mentali superiori.
La gamma di colori amata da Spessot difficilmente prevede cromie squillanti; decise, sì, come il bianco, il nero, il carminio e poi le varianti delle sfumature appena accennate, piuttosto localizzate in alcuni punti specifici per aumentare la luminosità e l’incisività dell’immagine. Sono, tuttavia, i segni scolpiti nei pigmenti a creare luci e ombre, a sottolineare la trasmissione mediatica, a ipnotizzare lo sguardo, a condurre e accompagnare il pensiero in viaggi fantastici.
La personalità artistica di Silvano Spessot è andata a maturare nel tempo rimanendo fedele a se stessa e, in particolare, alla contemporaneità con la piena coscienza che l’uomo, ossia l’umanità, è continuamente in evoluzione e ogni individuo è responsabile del progresso civile e culturale della società; è, questo, un messaggio che traspare in ogni opera che contiene, consapevolmente o meno, la teoria gramsciana della filosofia spontanea che consacra ogni individuo a creatura pensante.