Giorgio Celiberti. Più forte del tempo


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L’opera d’arte è il punto di arrivo di un ragionamento, di diverse riflessioni, dell’accumulo di esperienze e di manifestazioni pratiche e tecniche portate avanti da un preciso attore, l’artista, che le caratterizza e le rende uniche nel loro insieme attraverso quel guizzo, quel particolare gesto personale, irripetibile, inconfondibile portatore dell’imprinting peculiare del suo fautore. Dall’ispirazione alla rifinitura l’artista vive un rapporto fisico, oltre che intellettivo, con l’opera in fieri, modellandola e rimodellandola, pensando la e ripensandola fino al momento in cui si raggiunge l’obiettivo e si può considerare il lavoro terminato.

Giorgio Celiberti nel suo studio di Udine

Da questo momento, fino all’esposizione dell’opera, si crea molto spesso un vuoto di indagine che, contrariamente a quanto si possa pensare, può dare molti spunti interessanti per comprendere l’indole, il pensiero e l’attività di un artista e il perché delle sue opere d’arte: con Giorgio Celiberti (Udine, 1929), in questo caso, il percorso partirà proprio da qui, dal momento post creativo e pre/intra espositivo. Cosa accade a quel rapporto tra creatore e creatura? Come viene vissuta l’opera dall’artista, una volta terminata? L’esperienza conclusa rimane tale o ha un valore che va oltre e prosegue nel tempo, anche se con una minore intensità (ben inteso, non emotiva e intellettiva, ma temporale)?

Il grande studio-atelier del Maestro friulano è una vera e propria sorpresa per chiunque lo visiti: gli spazi esterni sono abitati dalle grandi sculture che, di ritorno da esposizioni o in attesa di nuovi scenari, arricchiscono uno spazio urbano discreto e indirizzano automaticamente verso uno stupefacente portone, progettato e realizzato dall’artista udinese, che è esso stesso una scultura, bassorilievo che predispone a ciò che si vedrà all’interno: arte.

La poliedricità di Celiberti è espressa esplicitamente dall’ambiente in cui egli lavora e passa la maggior parte delle ore del giorno; le sculture di dimensioni più ridotte si accompagnano alle tele lasciate libere dai telai, ai disegni fanno eco i bozzetti e le prove di nuove impressioni grafiche, agli affreschi si affiancano i preziosissimi gioielli e i minuziosi disegni. Il lavoro dell’artista occupa lo spazio e, al termine dell’apnea visiva, ci si rende conto che quanto si è visto è opera in corso o da poco terminata: l’irrefrenabile vena creativa di Giorgio Celiberti lo porta ad esprimersi attraverso numerose tecniche, molto lontane tra loro, ma anche a gettarsi con passione in più progetti contemporaneamente, pervaso da quella continua spontanea e straordinaria vivacità del pensiero, portatrice di ispirazione continua.

Le opere terminate non sono messe da parte, esse divengono parte dello studio, restano nel luogo in cui sono nate, esposte e a stretto contatto con altre in via di definizione e realizzazione; non è immediato il “distacco” e si mantiene una vicinanza fisica e visiva naturale per l’artista che di fronte ad un complimento o ad una domanda su una di queste si approccia con il sorriso e, quasi senza guardarla, ne mostra il contenuto, sia fisico e tecnico che semantico. Al contrario di molti che, una volta terminata un’attività, cercano il distacco da essa, egli non si allontana dal suo percorso e non cerca momenti di alienazione, né dal lavoro, né dalle sue opere appena compiute, sebbene frutto di lunghi e stancanti processi artistici.

Lo straordinario ordine mantenuto tra le opere meno recenti, in uno spazio meno accessibile, ma di un fascino straordinario per la grande varietà produttiva e temporale del lavoro di Celiberti, sottintende un grande rispetto e una consapevole responsabilità nei confronti di ciò che ha prodotto, le opere sono salvaguardate e fruibili, ricercabili agevolmente pur non essendo esposte, la cura è quella di un archivio documentale.

La grande premura nel maneggiarle e le attente raccomandazioni nei confronti di chi avrà cura di esse, in seguito ad un acquisto o per esporle in mostra, mettono in luce il forte legame che Celiberti ha con la propria opera, valutando attentamente non solo i fattori di valorizzazione di questa, ma anche i migliori metodi per il suo mantenimento; caratteristica questa che non sta a significare una celata gelosia per ciò che ha creato, ma un grande rispetto per ciò che non è un semplice oggetto o prodotto, ma un qualcosa di più che necessita di determinati accorgimenti per assolvere in pieno alla propria funzione. L’opera ha in sé un significato, un messaggio, o anche solo un’immagine, che devono raggiungere persone differenti, in luoghi diversi e nei tempi presenti e futuri.

Il mondo viene visto da Celiberti come un luogo affascinante e straordinario, le cui bellezze e peculiarità arricchiscono l’animo di chi ne sa cogliere l’essenza rielaborando il fascino di un paesaggio ammirato di persona o attraverso una cartolina (di cui egli è un grande collezionista): la natura, gli interventi delle società e dei popoli sui territori che creano nuovi scenari sono cibo per la mente dell’artista che si produce in un lavoro straordinario di resa su tela di sensazioni scaturite da luoghi o situazioni come “Le Isole del Baltico” o “Il mercato indiano” in cui le suggestioni cromatiche si mescolano a tratti e segni che tagliano il piano visivo del fruitore portandolo ad un nuovo punto di osservazione che non avrebbe cercato se non volutamente distolto dal suo percorso visivo, come nell’osservazione del mondo reale, in cui raramente si riesce a mantenere lo sguardo senza che la coda dell’occhio, attirata da un veloce movimento di un animale o dal movimento di una persona, ci distolga e muti la visuale. Così è anche per esperienze sensoriali di diverso genere, quali, ad esempio il “Profumo delle fragole selvatiche” che dà modo di risvegliare sensazioni che meritano di essere immortalate attraverso il filtro e la mediazione dell’artista che grazie al suo gesto le cristallizza visivamente e permanentemente, liberandole dalla loro estemporaneità.

Il superamento del tempo quale limite per la memoria (del singolo, ma soprattutto collettiva) è una caratteristica peculiare anche delle sue opere scultoree, la cui scelta della forma ha una forte connotazione funzionale. La stele, infatti, è stata utilizzata da numerose civiltà nel corso della storia, dagli Egizi, alle popolazioni del vicino oriente, gli abitanti dell’antica Grecia, agli Etiopi, fino alle popolazione mesoamericane e dell’estremo Oriente: questa sua universalità come strumento per superare gli ostacoli del tempo per trasmettere informazioni e tutelare la memoria le conferisce un significato particolare e intenso che trova una forza ancora maggiore dall’inserimento di parti che sembrano essere pagine composte con caratteri mobili, simbolo della stampa, mezzo per eccellenza della divulgazione di informazioni e di mantenimento della memoria da Johann Gutenberg ai giorni nostri.

Celiberti percepisce la necessità di sconfiggere il tempo soprattutto quando la sua arte assume una funzione di monito per i posteri utile ad evitare gli errori del passato: egli infatti ha legato molte delle sue opere a ricordare le brutalità commesse dall’uomo durante le persecuzioni perpetrate ai danni dei propri simili con opere come “I rimorsi della storia” la cui potenza espressiva e tutta rivolta a colpire le sensibilità di chi vi si accosta così da risvegliare le coscienze e da non rivedere momenti così bui e carichi di violenza. I tratti forti e decisi sono supportati dalla tecnica dell’affresco che conferisce una certa durezza rafforzata dagli interventi graffiati che creano uno squarcio nella percezione di una tecnica tradizionalmente legata alla solennità delle rappresentazioni religiose (da quelle pagane a quelle cristiane).

“Due cuori a Terezin” entra a pieno in questo filone, citando, inoltre, uno dei luoghi simbolo degli stermini nazisti che Celiberti ha visitato in prima persona restando fortemente colpito e turbato, ma con un segno di speranza che deriva dalla visione positiva che l’artista ha dell’uomo, visto come essere sociale, in cui prevalgono sentimenti positivi quali l’amore e l’amicizia. I due cuori sono il segno della positività dell’animo umano che sopravvive anche in situazioni di tremenda violenza e di black-out della ragione e dell’umanità stessa: simboli semplici, ma di un’efficacia disarmante che riportano il discorso sulla bellezza del mondo e della vita come nell’opera “Riferimenti d’amore”, in cui tutto resta sullo sfondo, se non una porzione candida e ovattata dell’affresco che pone in primo piano altri due cuori, nitidi e fluttuanti. Figure ricorrenti che ritornano anche nelle opere grafiche, quale ad esempio “L’altra metà del cuore” in cui due vivaci cuori rossi sembrano andarsi incontro tra segni e figure, impressi su un velo di sabbia che crea un effetto di affresco.

La positività è un messaggio forte che il Maestro udinese sente di esprimere non solo come artista, ma anche come persona cercando di portare nella vita di tutti i giorni quegli aspetti positivi che esprime nelle sue creazioni artistiche.

Giorgio Celiberti con le sue opere assume, per certi versi, il ruolo di un moderno mnemone greco, ovvero di colui che mantiene la memoria ed ha il compito di trasmetterla, compito che l’artista sente come una responsabilità nei confronti della società, affinché non ci si dimentichi degli errori e delle terribili vicende del passato e rimanga ancorata alla propria umanità che è positiva, di amore e di amicizia.

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Informazioni su Anselmo Villata

Caporedattore dell'Agenzia Stampa Verso l'Arte, Vice Presidente Internazionale dell'Associazione Internazionale dei Critici d'Arte, Docente presso la 24Ore Business School e presso la Giunti Academy, Curatore, Critico d'Arte, Saggista, Cultural manager e Cultural planner orientato alla promozione e alla valorizzazione dei Beni Culturali con un'ottica all'interdisciplinarità e alle collaborazioni internazionali.