È cosa ben nota e risaputa che l’Italia possiede un serbatoio quasi inesauribile di opere d’arte. Uno degli aspetti che sorprende il viaggiatore, appagandolo così della sua curiosità, è scoprire capolavori custoditi in luoghi dove di primo acchito non si sospetterebbe della loro esistenza, se non dai bene informati. Perché un conto è visitare un museo, ben sapendo cosa ci aspetta, un altro è trovarsi di fronte, magari senza averlo pianificato prima, a un quadro o a una scultura. Gioie del flâneur.
Ciò si verifica in molti casi, soprattutto se prendiamo in considerazione i lavori prodotti nei due secoli d’oro dell’arte italiana: il Quattrocento e il Cinquecento, quando a trarne i benefici erano le parti chiamate in causa, committente, artista e, non ultimo, fruitore. È proprio dalle felici relazioni tra costoro che sono nate imprese destinate a restare ancora oggi ineguagliate.
È il caso della chiesa di San Bernardino in Pignolo a Bergamo, edificata nella seconda metà XV secolo, dopo la predicazione in città del santo, al quale fu poi dedicata, e sede di una confraternita laica di commercianti e artigiani. L’edificio, la cui facciata è stata restaurata a partire dal 1856 in stile neogotico, è stato di recente riaperto e c’è da scommettere che attirerà a sé diversi appassionati d’arte. Il perché è molto semplice. Al suo interno, oltre alla presenza di pregevoli decorazioni che rappresentano una testimonianza tangibile del passaggio della chiesa nei secoli, è custodita la Madonna con il Bambino e i santi, la celebre Pala di San Bernardino, uno dei capolavori di Lorenzo Lotto.
La pala d’altare, un olio su tela di 287×268 cm che troneggia nella zona absidale, è stata eseguita da Lotto nel 1521, durante il suo soggiorno bergamasco che durò dal 1513 al 1526, posteriore quindi alle esperienze romane e marchigiane. In quegli anni l’artista realizzò dipinti quali la Pala Martinengo, la Pala di Santo Spirito, gli affreschi dell’Oratorio Suardi a Trescore Balneario e i disegni per le tarsie lignee del coro di Santa Maria Maggiore, solo per citare i principali.
Tuttavia, se tali opere erano tutte visitabili liberamente, ciò non valeva per la Pala di San Bernardino che era possibile gustarsi solo in determinate occasioni. Ora, grazie al parroco, ai volontari della parrocchia stessa, uniti a quelli del Touring Club, con l’iniziativa dei luoghi “Aperti per voi”, la chiesa resterà aperta tutti i giorni, escluso il lunedì, dalle 10 alle 12 e dalle 14 alle 17. Una notizia che tutti, non solo i cittadini di Bergamo, aspettavano da tempo.
Finora la pala è sempre stata al suo luogo di origine (solo la cornice è stata sostituita), eccezion fatta nel 2011 quando fu restaurata e migrò a Roma per la monumentale mostra su Lorenzo Lotto alle Scuderie del Quirinale, curata da Giovanni Carlo Federico Villa. Curiosamente la scelta dell’immagine per la copertina del catalogo cadde proprio sull’angelo vestito di arancione che, ritratto mentre scrive, al contempo si distrae volgendo lo sguardo allo spettatore, ed è appoggiato al candido trono marmoreo su cui spicca la firma inequivocabile “LLOTVS MDXXI”.
E sono gli angeli in volo che reggono il verde baldacchino sotto il quale si svolge la scena principale – una sacra Conversazione che ha come personaggi centrali la Madonna e il Bambino, attorniati dai santi Giuseppe, Bernardino da Siena, Giovanni Battista e Antonio abate. Sono quegli angeli, dicevamo, che attirarono l’attenzione di Roberto Longhi durante i suoi studi capitali che portarono alla rivalutazione del Caravaggio, la cui aura artistica ora appare scontata, ma che, garantiamo, fino a un secolo fa non lo era affatto.
«E questo famoso angelo bello del Caravaggio – scrive Longhi riferendosi al Riposo durante la fuga in Egitto della Galleria Doria Pamphili a Roma –, una beltà fatta d’integrezza corporea, di eleganza naturale, scelto insomma non dal vivaio dello stile, ma dal vivaio della natura, non è il germano di quegli esemplari angelici di cui Lotto s’era valso in quelle opere bergamasche che il Caravaggio poté più comodamente vedere? Eccone due, tolti dalla pala di San Bernardino, proprio della stessa cova, anche per la vigoria delle grandi ali di rapace che vedremo poi trapassare, come un prezioso ingrediente naturalistico, dall’una all’altra bottega dei caravaggeschi romani».
La Pala, che alcuni studiosi vogliono essere ispirata dalla Madonna del baldacchino di Raffaello del 1508 oggi a Palazzo Pitti a Firenze, ma dalla quale si discosta in primis per l’ambientazione più ariosa, è dominata dalla Vergine e dal Bambino sui quali convergono le diagonali degli angeli festanti in alto e dei quattro santi in basso. Come se non bastasse l’importanza delle due figure è accentuata dai colori sgargianti del manto di Maria e del figlio che è sì in braccio a lei, ma non accoccolato come si osserva in altre sacre Conversazioni, bensì ritto sul ginocchio destro della madre.
Una costruzione spaziale perfetta e studiata da Lotto nei minimi dettagli. L’artista dimostra di trovarsi a suo agio con il soggetto. E non solo per le particolarità poc’anzi descritte, ma per la naturalezza dei quattro santi che non sono in pedante contemplazione, bensì vengono ritratti liberi e sciolti nelle loro azioni. Solo san Bernardino da Siena guarda con devozione la Madonna e il Bambino, l’attenzione di Giuseppe è rivolta all’angelo scrivano, mentre san Giovanni Battista e sant’Antonio abate discorrono fra di loro.
In poche parole qui Lotto è nel pieno della sua maturità artistica. Esemplari a tal proposito le parole di Villa: «Ci sembra che la contiguità quotidiana di dialogo con il Sacro dovesse avere quell’intimità personale, quella colloquialità fraterna e perfino ironica che poi sembrano perdersi nell’era post tridentina. Resta il fatto che la Pala di San Bernardino è un pieno, omogeneo capolavoro di Lotto. Ogni particolare di quest’opera è da solo perfetto: per esempio le rose con i sepali che si vanno seccando, e il petalo integro sul gradone di pietra, oppure la casa che sembra bruciare – le fiamme escono dalle finestre, la nuvola di fumo si leva pigra a volute – e nessuno accorre a spegnere il fuoco, il “fuoco di sant’Antonio”. Particolari numerosi e variati, ciascuno una piccola firma creativa».