Fino al 22 marzo 2020 al Camusac, il Museo d’Arte Contemporanea di Cassino (FR), si inaugura una mostra, curata da Bruno Corà, ideata come un concerto per tre voci soliste degli artisti Franco Marrocco, Alessandro Savelli, Mario Velocci e orchestrata sulle loro invenzioni e variazioni di Ritmi-Pause-Silenzi.
La sezione ritmica si apre con Mario Velocci che in un’epoca dominata dalla tendenza alla smaterializzazione fa sussultare con le sue opere concrete di acciaio e ferro, talune di grandi dimensioni, che danno forma a suoni antichi, come “Il suono del Liri”.
I suoi lavori sembrano delle “partiture in rosso” dove il pentagramma, attraversato da scale ascendenti e discendenti, è un fil rouge in forma di ritornello. L’artista compone, nella forma di linea, spazio e suono, elementi che costituiscono la sintassi della sua poetica in cui la forza invisibile della natura, come il vento, è in grado di animare e far vibrare la matericità della macchina sonora, che sposa quella celibe di Duchamp.
Conterraneo di Velocci è Franco Marrocco e ad accomunarli non è solo l’area geografica, ma anche dati di natura come i reperti di rami antichi ad incastro del ciclo dell’Eco del Bosco-H2O-Reperti.
L’effetto eco avviene quando il suono di ritorno arriva dopo una pausa, che precede e annuncia il silenzio, oltre che in musica, anche nel percorso espositivo indicato dal titolo. Non sono echi lontani di una natura antica ma presenti perché estratti direttamente dalla natura. Se in musica l’eco è una pausa di riflessione di un suono, nella pittura di Marrocco è densa espressione di una selva di segni, fatta di tracce boschive, dove procedere lentamente, tra una pausa e l’altra, nei diversi piani, realizzati attraverso la sovrapposizione manuale di strati di pittura ora materica ora trasparente come l’acqua. L’H2O allo stato puro, impoverita dal sodio, contenuta nelle ampolle di pyrex che fanno da sfondo reliquiario su cui idealmente adagiarsi nella ricerca, non solo dell’anima dell’uomo, ma dell’anima della Terra, detta anche Pianeta Blu.
Si potrebbe dire che nell’opera di Marrocco si incontrano delle “visioni”, quelle visioni pittoriche del mondo sonoro a cui le macchine di Velocci hanno, in precedenza, dato la forma scultorea. Una visione come un inarrestabile count-down, che diventa più silente, fatta solo di luce e sfumature cromatiche dove accedere per “Ascoltare il silenzio”, come indica l’opera di Alessandro Savelli, un intermezzo nordico.
Nei suoi dipinti c’è una dedica non solo al cielo di “Lombardia così bello quando è bello” ma a un cielo sempre bello: un’ode sentita fatta di variazioni, di soffi silenti di luce, di impercettibile fluire di istanti colorati. Colore e tempo che si mescolano silenziosamente nella variazione di un paesaggio fatto di singoli frammenti per diventare pressoché liquido.
In tal modo si giunge all’epilogo di un percorso partito dalla gravità scultorea e man mano “liquidato” in un contesto che torna indietro da dove tutto scaturisce nel silenzio, dove al più in momenti differiti e differenti arrivano echi di Natura antica sotto un cielo, all’opposto di colorati sipari (acronimo di silenzi-pause-ritmi), che riavvolge a “rebours” ciò da cui si era dispiegato.