Fino al 12 gennaio 2020 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma è esposta una mostra di Robert Morris (Kansas City, 1931 – Kingston, 2018), organizzata insieme allo stesso artista prima della sua scomparsa e realizzata a cura di Saretto Cincinelli.
La mostra, che vede la collaborazione della Galleria Castelli di New York, si realizza distanza di circa 40 anni dalla prima tenutasi nel 1980 dedicata alla scultura minimal, in omaggio all’artista maestro del Minimalismo americano di cui è stato uno dei fondatori, della Process Art e della Land Art, per citare solamente alcune grandi correnti che hanno rappresentato tappe di una ricerca incredibilmente prolifica e multidirezionale durata una sessantina di anni.
Quella di oggi è la prima mostra che viene dedicata all’artista dopo la sua morte ed è composta una serie di opere realizzate da Morris negli ultimi anni della sua attività e mai esposte prima in Europa. Le sculture richiamano figure umane appartenenti alle due serie moltingsexoskeletonsshrouds e sono realizzate in tela belga bagnata in una particolare resina e apposta su modelli per ottenerne la forma, e Boustrophedons, in fibra di carbonio, esposte rispettivamente nel 2015 e nel 2017 alla Galleria Castelli di New York. L’inedita relazione spaziale tra i due nuclei esposti in questa occasione alla Galleria Nazionale nasce da un progetto concordato con lo stesso Morris prima della sua scomparsa.
I recenti gruppi scultorei di Morris testimoniano il crescente interesse dell’artista per la figura umana e per l’opera dei maestri del passato, segnando una svolta anche nel suo vocabolario formale che sembra affrancarsi definitivamente dal senso di ordine e astrazione tipiche di una parte dell’avanguardia americana per orientarsi verso elementi più marcatamente barocchi e allegorici. In questa esposizione, oltre ai richiami a Donatello risuonano espliciti anche quelli a Rodin, ai tardi disegni di Francisco Goya, alle statue piangenti dello scultore gotico Carl Sluter.
Utilizzando materiali associati alla pittura, come il lino belga e la vernice, per formare sudari di figure scultoree, Morris crea notevoli tensioni: tra l’apparente presenza delle figure e la loro assenza, tra l’idea di scultura come un’arte eminentemente spaziale e quella dei gruppi di figure interagenti tra loro che rivela un trattamento quasi pittorico e, infine, tra lo spettatore e la sua percezione di ogni singola scena.