Al
PAN, Palazzo delle Arti Napoli, fino al 23 febbraio 2020 è aperta una mostra
dedicata a Joan Mirò dal titolo “Joan Miró. Il linguaggio dei segni”, promossa
dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli e organizzata
dalla Fondazione Serralves di Porto con C.O.R. Creare Organizzare Realizzare.
A cura di Robert Lubar Messeri, professore di storia dell’arte all’Institute of
Fine Arts della New York University, e sotto la guida di Francesca Villanti,
direttore scientifico C.O.R., il percorso espositivo riunisce ottanta opere tra
quadri, disegni, sculture, collage e arazzi, tutte provenienti dalla collezione
di proprietà dello Stato portoghese in deposito alla Fondazione Serralves di
Porto.
Le opere esposte coprono il lungo arco della produzione artistica di Miró, dal
1927 al 1986; un racconto sull’evoluzione dello stile di questo straordinario
artista che riesce a trasformare i diversi oggetti che compongono le sue opere
in segni visivi, anticipando il linguaggio dell’arte del Ventesimo secolo.
La mostra è divisa in nove sezioni che ci guidano nei punti più importanti della carriera di Mirò.
“Il linguaggio dei segni”; in questa sezione si mostra l’uso che Mirò fa della linea di contorno, come scrittura, e dell’orizzonte come indicatore di spazio. Si parte dal quadro Ballerina del 1924. “La figura nella rappresentazione”; a partire dall’inizio degli anni ’20, la figura è il soggetto preferito della ricerca di Mirò che ne ha minato la logica stessa. Per attaccare l’illusionismo occidentale sceglie La Fornarina di Raffaello. “La figura nello sfondo”; sulla superficie della sua tela prendono forma uccelli, corpi astrali, creature fantastiche. La figura è evocata da segni e macchie sulla tela grezza. “Collage e l’oggetto”; Mirò è uno dei grandi rappresentanti del collage del XX secolo e già nel 1919 ce ne dà prova includendo un pezzo del quotidiano La Publicidad, di Barcellona, in uno suo quadro. “I dipinti selvaggi”; sono l’espressione della sua rabbia verso una società in cui predominano follia e odio, che portano alla guerra. I dipinti su masonite, del 1936, ne sono un esempio. “L’elasticità del segno”; il segno e il gesto grafico, ormai, hanno la precedenza anche sul significato. “Calligrafia e astrazione gestuale”; la calligrafia giapponese e l’affermarsi dell’Action Painting in Europa e in America influenzano Mirò nel suo nuovo modo di dipingere. “La materialità del segno”; nella primavera del 1973 collabora con il tessitore Josep Royo e crea opere che si collocano a metà tra pittura e scultura. Mirò incorpora oggetti comuni in trame di cotone, juta, canapa e lana. “Le tele bruciate e la morte del segno”; sempre con il tessitore Royo, nel dicembre 1973, realizza cinque tele bruciate: ne taglia prima la superficie, poi applica delle masse di pigmento su varie aree e allarga la superficie con una torcia. In questo modo, rende visibile la struttura del telaio carbonizzata e aggiunge altra vernice, ricominciando il processo.