Canova e l’antico


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A Napoli è il MANN, Museo Archeologico Nazionale, che ospita, fino al 30 giugno, la mostra dedicata a Canova, promossa in collaborazione con il Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo e organizzata da Villaggio Globale International.

Antonio Canova, Le Tre Grazie, 1812-1816, Marmo 103E, cm182x64, Foto © Leonard Kheifets, San Pietroburgo, Museo Statale, 2019

La mostra è realizzata a cura di Giuseppe Pavanello con un comitato scientifico internazionale, con il sostegno della Regione Campania, i patrocini del Comune di Napoli, della Gypsotheca, Museo Antonio Canova di Possagno e del Museo Civico di Bassano del Grappa. 
In questa occasione, per la prima volta, la messa a fuoco in una mostra di quel rapporto continuo, intenso e fecondo che legò Canova al mondo classico, facendone agli occhi dei suoi contemporanei un “novello Fidia”, ma anche un artista capace di scardinare e rinnovare l’Antico guardando alla natura. 
Sono riuniti in mostra più di 110 lavori, tra cui 12 straordinari marmi, grandi modelli e calchi in gesso, bassorilievi, modellini in gesso e terracotta, disegni, dipinti, monocromi e tempere, accanto a opere della collezione del MANN, in parte inserite nel percorso espositivo, in parte segnalate nelle sale museali. Prestiti internazionali connotano l’appuntamento, come il nucleo eccezionale di ben sei marmi provenienti dall’Ermitage di San Pietroburgo, che vanta la più ampia collezione canoviana al mondo: “L’Amorino Alato”, “L’Ebe”, “La Danzatrice con le mani sui fianchi”, “Amore e Psiche stanti”, la testa del “Genio della Morte” e la celeberrima e rivoluzionaria scultura delle “Tre Grazie”; poi, l’imponente statua, alta quasi tre metri, raffigurante “La Pace”, proveniente da Kiev e l’“Apollo che s’incorona” del Getty Museum di Los Angeles. A questi si aggiungono la “Maddalena penitente” da Genova, il “Paride” dal Museo Civico di Asolo, la “Stele Mellerio”. Straordinaria la presenza di alcuni delicatissimi grandi gessi, come il “Teseo vincitore del Minotauro” e l’“Endimione dormiente” dalla Gypsotheca di Possagno (paese natale di Canova); o ancora l’“Amorino Campbell” e il “Perseo Trionfante” restaurato quest’ultimo per l’occasione e già in Palazzo Papafava a Padova, entrambi da collezioni private.
“Imitare, non copiare gli antichi” per “diventare inimitabili” era il monito di Winckelmann, padre del neoclassicismo: monito seguito da Canova lungo tutto il corso della sua attività artistica. Dalle opere giovanili sino all’“Endimione dormiente”, concluso poco prima di morire, il dialogo Antico / Moderno è una costante irrinunciabile.

Al Museo Archeologico Nazionale di Napoli si conservano capolavori ammirati dal maestro veneto: pitture e sculture ‘ercolanesi’ che egli vide nel primo soggiorno in città nel 1780; quindi i marmi farnesiani, studiati già quand’erano a Roma in palazzo Farnese e trasferiti a Napoli per volontà di re Ferdinando IV: marmi celeberrimi che sono stati all’origine di opere capitali di Canova come l’Amore Farnese, prototipo per l’Amorino alato Jusupovche il pubblico potrà confrontare in questa straordinaria occasione. 
Altro elemento peculiare della mostra è la possibilità di ammirare tutte insieme e dopo un attento restauro, le 34 tempere su carta a fondo nero conservate nella casa natale dell’artista.
La mostra è corredata da un catalogo edito da Electa, ricco di saggi con schede e raffronti fra opere canoviane e opere antiche.

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