Enzo Maio, il pittore antinaturalistico


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Enzo Maio nel suo studio

Quest’anno il pittore carmignanese Enzo Maio, classe 1953, attività costante fra Ghislarengo e Antibes, festeggia i suoi primi trent’annida artista, o meglio la data nella prima importante mostra personale: è il 1998 quando alla Galleria L’Incontro di Borgomanero espone una serie di quadri dal titolo Acquerelli con un catalogo addirittura curato dal celebre pittore Giuseppe Ajmone, al quale poi verrà spesso paragonato. L’ano successivo Maio esone presso La Spirale di Milano, presentato dal grande critico Alberico Sala e da allora è un’incessante escalation, che come notorietà popolare e visibilità mediatica, culmina forse nella collaborazione con poetessa Alda Merini (forse la maggiore scrittrice del Novecento italiano), interrotta purtroppo solo dalla morte di quest’ultima.

Il tipo di sodalizio artistico-professionale fra Enzo e Alda non è nuovo nella storia della cultura giacché sono molti, soprattutto a partire dal XX secolo, gli incontri fra scrittori e artisti figurativi, dove gli uni sono al servizio degli altri (o viceversa) nel plasmare qualcosa di unico che oltrepassa le tradizionali categorie estetiche: c’è chi parla di pittura raccontata o di poesia visiva, fatto sta che parole, versi, prose, testi, su un’immagine astratta o concreta, realista o surreale, moderna o postmoderna, riescono a esprimere una simultaneità di rimandi e di concetti che già il Futurismo del primo novecento intuisce ed elabora in modelli convincenti, peraltro attualissimi. Maio e Merini dunque elaborano una serie di opere (disegni su cui ‘ntervengono’ testi lirici) ad aprire in editi universi espressivi.

Tuttavia Maio, sia prima sia dopo l’esperienza con la Merini, è un artista che viaggia da dolo, con le proprie gambe, soprattutto nel modo di trattare e tratteggiare il cosiddetto paesaggio: in effetti considerare il paesaggista un autore e paesaggistica la sua opera riversata in decine di quadri. , disegni, stampe, pannelli di svariate dimensioni, risulterebbe alquanto limitativo, perché la pittura di Maio resta sostanzialmente un’esperienza formale che parte da elementi della natura, per trascenderli in qualcosa che via via può essere materico, fiabesco, espressionista, astratteggiante.

Ad un’attenta visione delle opere (consultabili anche mediante i numerosi cataloghi) ci si accorge subito che di questa ‘natura’, negli ultimi cicli, Enzo predilige gli alberi, i quali “(…) si ergono – come scrive il critico Claudio Rizzi – custodi e testimoni, impavidi nel tempo, nell’ombra, nelle foschie. Come divinità, come steli, come pietre miliari della storia e della gente. Sono tutori e personaggi. Maio ne conosce i silenzi e li interpreta. Possenti e labili, quasi anime metafisiche immerse nello spazio a raccontare i giorni”.

Del resto Enzo sembra quasi personificare la natura, perché ogni tronco, ogni gusto, ogni chioma appare, “forte della propria vicenda – è ancora Rizzi a commentare – voci isolate e unite a custodire la traccia dell’uomo. Antropomorfi a simbolo del significato metaforico, quasi dinamici in un movimento che appartiene al tempo e non alla condizione. La forma eccede evidentemente la realtà ma sublima l’oggetto e anima la pittura”.

È un discorso, quest’ultimo, che in un ordine evolutivo, in rapporto anche a colleghi ben più celebri, sa cogliere il grande storico dell’arte Marco Rosci, quando parla di natura ma non di naturalismo, a proposito di Maio, teorizzando ad esempio che: “Antinaturalistico è talora anche il coraggio della grande dimensione scenica, quella che apparenta l’ultimo Monet con l’espressionismo astratto e la pittura disegno e di gesto. Questo rimescolare colore e forma nell’intima materia della natura, fino a sfiorare un’astrazione che ripropone in termini attuale linguaggio di Turner, nasce da una duttilità interiore che travalica tecniche supporti, trapassando con la medesima intensità dalla tela alla carta e mantenendo intatto il senso di una pulsazione quasi biologica del legame con la terra, partecipazione vitale che va al di là dell’immagine”.

Anche la celebre studiosa Rossana Bossaglia, sia pur con diverso taglio ermeneutico, ribadisce i summenzionati concetti: “L’emozione che produce in noi questa pittura (povera nel senso più elementare del termine, essendo realizzata su cartone con una tavolozza minimamente variata) e soprattutto quella di cogliervi una moderna realtà paesaggistica, dove natura e tecnica si mescolano e sovrappongono, l’una svapora nell’altra come se si corrispondessero e riemergessero volta a volta da un sonno beato”.

Qualcuno come Riccardo Barletta, già da un quarto di secolo, teorizza per Enzo un’esistenzialismo dei sentimenti: “La sua non è una pittura disperata perché è il coagulo di immaginazione e di emozione individuale prevalgono quasi romanticamente al respiro suggestivo ed effusivo di madre natura. Maio viene fortemente approvato dalla magia della luce ed è così che via via ‘sceneggia’ i suoi alberi (…)”.

Sono ancora le donne, infine, a comprendere l’arte di Enzo dove complessità e scioltezza si compenetrano al meglio; e in tal senso Chiara Gatti afferma che “È così che Maio ha cominciato a liberare la pittura dalla contingenza dell’emozione naturalista, ricondotta da Giovanni Testori alla storica definizione (alternativa quella arcangeliana) di ‘naturalismo di partecipazione’. Affinità e distanze con questi precedenti illustri si agitano ora in sottotraccia nel brodo prebiotico di una materia che sembra cambiare stato in continuazione”.

Alla fine pare trovarsi bene in mezzo alla natura, pur trascendendola pittoricamente attraverso una meditazione segnica, formale, coloristica, gestuale, iconica con ogni elementi di terra, acqua, aria e fuoco, che si rapporta con l’albero. Assecondando la pulsazione quasi biologica, per dirla alla Rosci, dell’arte stessa e della pittura medesima, Enzo riverbera all’esterno ciò che risulta dentro ognuno di noi, in quanto essere umani prima che artisti, sottolineando – anche in un solo dipinto – ciò che ci rende quello che, dobbiamo, possiamo, vogliamo essere, sempre, nel fisico e nella mente, nel corpo e nell’animo, in costante equilibrio dentro e fuori di dell’arte con le luci, i colori, le forme, i gesti.

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