In contemporanea alla mostra di Abbot, da domani 17 febbraio e fino al 21 maggio, al Museo MAN di Nuoro è allestita la mostra dedicata all’artista californiana Jennifer West, a cura di Lorenzo Giusti e composta da un gruppo di 10 lavori realizzati a partire dal 2005 e di una nuova opera che costituisce un punto di svolta nella produzione dell’artista.
Film Title Poem (2016) è infatti l’ultimo e unico film sonoro realizzato da West. L’artista descrive il lavoro come un “un montaggio psichico della mia interiore storia del cinema”. L’opera si presenta come un collage di immagini, tratte da oltre 500 titolature di film, trasferite su una pellicola da 35mm. La materialità del film, in seguito trasferito su supporto digitale, è sottolineata dall’intervento diretto sulla pellicola attraverso motivi incisi, contorni, tracciati e forature. Sensuale, astratto e immaginifico allo stesso tempo, il lavoro indaga l’incidenza della fiction nella nostra memoria e il modo in cui la rivoluzione digitale ha cambiato l’esperienza della visione.
Jennifer West ha iniziato a esplorare sistematicamente la possibilità di produrre film senza l’ausilio della videocamera fin dal 2004. L’artista rimuove la pellicola dal suo contesto d’uso convenzionale, intervenendo su di essa attraverso processi diversi, che possono spaziare dalle tecniche artistiche tradizionali (pittura, disegno, collage, graffito, incisione), ad azioni alternative come l’emulsione, la manipolazione chimica oppure l’esposizione diretta alla luce dei materiali fotosensibili. Il risultato è uno “spazio filmico” immersivo e psichedelico, un’animazione materiale di segni e immagini, caratterizzata da toni acidi e ritmi concitati.
Concepite in alcuni casi come vere e proprie performance, le azioni di Jennifer West sulla pellicola prevedono spesso il coinvolgimento di altre persone, così come l’utilizzo di materiali del quotidiano, dal cibo al rossetto ai pneumatici per motociclette, oppure l’esposizione all’azione degli agenti naturali in luoghi di particolare significato.
È il caso di Salt Crystal Spiral Jetty Dead Sea Five Years Film (2013), uno dei dieci lavori presenti in mostra, realizzato immergendo una pellicola in un bagno di argilla a temperatura elevata nel 2008 e in seguito stipata fra altri oggetti in una valigia, messa tra le cartacce nel cestino dello studio dell’artista, coperta di argilla per cinque anni e infine trascinata lungo le rocce incrostate di sale della celebre Spiral Jetty di Robert Smithson, prima di essere gettata nelle acque gelide del lago salato dello Utah, nel tentativo di evocare lo spirito originario dell’opera e la visione poetica dell’artista americano.
La mostra al MAN di Nuoro è inoltre occasione per l’avvio di un nuovo lavoro che, partendo da un’esplorazione del territorio, ha avuto origine in Sardegna nei giorni precedenti l’inaugurazione.