Si c’est noir, je m’appelle Jean – Jean Tinguely


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Videostill dal film, La Vittoria di Bernhard Luginbühl, 1970

L’Istituto Svizzero di Milano, attraverso una mostra aperta fino al 22 marzo e riprendendo il titolo di un’opera del 1960, si pone l’intento di riportare all’attenzione pubblico italiano l’incisiva personalità di Jean Tinguely (1925-1991), ricollegandosi alle varie commemorazioni ed eventi nazionali e internazionali che nel 2016 hanno celebrato i 25 anni dalla sua scomparsa.

Nel 1960 lo scultore svizzero si affermava come un elemento di capitale importanza nel pensiero artistico contemporaneo facendo esplodere, e lasciando che si autodistruggesse, la sua scultura Hommage à New York, una rappresentazione, non priva di ironia, del fatto che i sogni moderni erano andati in pezzi già da tempo. Con un fuoco d’artificio simile, scandaloso ed esuberante, scelse di celebrare in Piazza del Duomo a Milano i 10 anni del Nuovo Realismo. Il movimento si era organizzato proprio nella capitale lombarda, in occasione di una mostra alla galleria Apollinaire, intorno al critico Pierre Restany, e riuniva, tra gli altri, Arman, François Dufrêne, Raymond Hains, Yves Klein, Martial Raysse, Daniel Spoerri, Niki de Saint Phalle, Jacques Villeglé e Jean Tinguely. Era la sera del 28 novembre 1970 quando, davanti a una folla gioiosa e chiassosa, esplode “La Vittoria”, una grande scultura in acciaio dalle forme decisamente esplicite.

La mostra raccoglie una parte dei documenti pubblicati e filmati relativi a questo evento fondamentale nel pensiero espansivo, iconoclasta e comunicativo di Jean Tinguely.

L’esposizione milanese consente anche di tornare sull’impronta estremamente popolare che questo artista di primo piano dell’arte svizzera ha lasciato su molte generazioni. Grazie ai prestiti di due collezionisti, l’Istituto Svizzero ha riunito degli oggetti che hanno contribuito a fissare per lungo tempo l’immagine di Jean Tinguely nella memoria collettiva, in particolare in Svizzera.

Così, proprio a Milano, dove Jean Tinguely, insieme agli amici artisti e critici, aveva rimesso in discussione i potenti simboli del consumismo, la mostra si prende gioco della sua vicinanza a una certa idea del pop.

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