MADI. Dalle inquietudini dell’astrazione geometrica una rivoluzione in nome di “creazione e invenzione”


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Frangi, Opera 6

Prosegue l’impegno della Galleria Valmore di Vicenza nell’approfondimento dello studio del movimento MADI, nel 70° anniversario della sua nascita, esponendo le opere di altri due artisti italiani che vi aderirono: Reale F. Frangi e Piergiorgio Zangara, in una mostra aperta fino al 14 gennaio 2017

Madì nasce nel 1946 dal pensiero di Carmelo Arden Quin, concepito come un “vero movimento” che ha saputo influenzare artisti di tutto il mondo dando una svolta decisiva al fare artistico. Madì “inventa y crea” in opposizione all’arte concreta e mira a investire dei suoi principi tutte le arti (teatro, danza, musica, architettura, …). Non a caso il fenomeno Madì è stato paragonato al Futurismo. Tutto questo può spiegare il grande numero d’appartenenti che, mutevole nel tempo, ha conosciuto nuovi arrivi e defezioni.

Dagli anni ’80 ad oggi l’arte Madí, grazie all’attività di promozione capeggiata da Arden Quin e Bolivar, ha registrato adesioni di artisti in molti paesi dove sono nati nuovi gruppi. Tra questi stati si contano Italia, U.S.A, Canada, Ungheria, Belgio, Venezuela, Francia, Argentina, Uruguay e Giappone.

Sono stati aperti musei Madì (The Museum of Geometric and Madì art – Dallas, Texas, U.S.A;

International Mobile Madì, Madì Foundation – Budapest, Ungheria; Museu Madì – Sobral,

Brasile) e sale permanenti in diversi musei come la Galleria d’Arte Moderna di Gallarate, il Museo Giulio Bargellini di Pieve di Cento e il Museo de Arte Latino Americano di La Plata in Argentina.

In Italia il gruppo Madì nasce nel 1984 a Genova grazie alla tenacia dell’artista Salvador Presta e trova maggiore spazio a Milano presso la galleria Arte Struktura di Anna Canali, che lo promuove con determinazione.

L’attività artistica di Reale F. Frangi, nell’ambito della creazione madì per così dire

“intenzionale”, si sviluppa partendo dalla rottura del quadrato, dall’apertura e forzatura dell’angolo retto, e dalla conseguente espansione nello spazio dei limiti dell’opera. La prima fase di questa rottura si concretizza in quelle opere rette dall’“archetipo del doppio” teorizzato da Riccardo Barletta. Nelle opere successive Frangi attua un’ulteriore destrutturazione in piani sovrapposti che scardinano la forma di partenza, trasformandola in percorso.

Piergiorgio Zangara svolge i suoi studi formali partendo dal cubo. Dai primi anni ’90 le sue opere presentano costruzioni con cubi che, in alcuni casi, creano ambiguità nella percezione della terza dimensione. Nei momenti successivi della sua ricerca l’artista stabilisce una prassi inventiva che prevede la progettazione delle scomposizioni e ricomposizioni del rombo, del cerchio, del triangolo. In questi lavori Zangara trasforma l’ambiguità percettiva dei dipinti in sovrapposizione di trasparenze “concrete” grazie all’utilizzo del plexiglas e della plastica, i colori si sommano producendo nuove e brillanti tonalità.

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