Marco Di Giovanni. A.A.A. Angelica


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La Luna

La mostra “Marco Di Giovanni. A.A.A. Angelica” alla MLB – Maria Livia Brunelli Home Gallery di Ferrara, fino al 26 marzo 2017, rientra nelle celebrazioni per il Cinquecentenario della pubblicazione dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, con un progetto espositivo che ha visto il susseguirsi di diversi artisti e ruota attorno a due temi fondamentali: nella prima sala le donne guerriere del poema; nella seconda la forte fascinazione esercitata dalla Luna.

Angelica e Bradamante sono il simbolo del nuovo ruolo che ha assunto la donna nel Rinascimento. Allo stesso tempo devono lottare con una mentalità ancora molto legata ai privilegi maschili. Entrambe bellissime, la prima è esperta in magia e “premio” per il cavaliere più valoroso, la seconda è una guerriera innamorata che sconfigge ad armi pari i cavalieri più valorosi.

Di Giovanni inquadra la figura di Angelica, nel suo essere oggetto di desiderio, da “ottenere in premio”, in quella categoria di donne, spesso bellissime ma molto sfortunate: donne che propongono se stesse attraverso annunci come appunto “A.A.A. Angelica”. Di Giovanni le ha contattate a partire proprio da quegli annunci, e ha chiesto loro di posare per un ritratto, richiamando la tradizione del nudo pittorico che in secoli più pudichi ha spesso visto donne di vita usate come modelle. Un’operazione apparentemente dissacrante, che in realtà è pienamente “cortese”, nell’accezione medioevale del termine, perché nobilita la donna fino a farla diventare donna-angelo, “angelicata” appunto, dando l’impressione, dice l’artista, di “svanire inafferrabile e liquida, riferimento al fatto che uno dei trucchi di Angelica per sfuggire ai suoi contendenti è diventare trasparente”.

Bradamante, invece, è realmente presente “in mostra” interpretata da una bellissima ragazza adolescente in carne ed ossa, alta e forte, che, vestendone i panni, sovrasterà incurante gli astanti battendosi in un duello ideale ma fragoroso di clangori metallici per tutta la durata dell’inaugurazione.

La Luna è invece protagonista nella seconda sala. Il corpo celeste è celebrato dal poema come simbolo del rovesciamento di tutto quello che avviene sulla Terra: l’unico luogo in cui non esiste la follia che domina il mondo, poiché tutti sono alla continua ricerca di ciò che non possono ottenere. “La parete principale della sala accoglierà un’installazione costituita da 46 taccuini Moleskine, uno per ogni canto del poema, aperti sulla pagina del planisfero suddiviso in fusi orari, dove la follia induce a perdere ogni coordinata spazio-temporale, come accade ad Orlando che vaga per il mondo a destra e a manca, nudo, sradicando alberi, senza distinguere neanche il giorno dalla notte” spiega l’artista, che ha aggiunto a matita, su ogni planisfero, segni mimetici rispetto alla stampa, in modo da creare un caos irrazionale per confondere confini e continenti.

Infine, due strutture metalliche presenti nello stesso ambiente rappresentano la “salvezza” rispetto alla follia. Si tratta di una scultura costituita da una tubatura in ferro grezzo arrugginito di circa due metri, che sembra trafiggere il muro per poi continuare oltre. Guardando dentro un piccolo oblò della struttura, compare l’immagine di una lontana, piccola luna azzurra che si muove instabile, a seconda del punto di vista da cui si guarda. Spinto da impulso ‘astolfiano’, l’osservatore sarà colto dal desiderio di raggiungere quella luna, custode del senno di Orlando, ma per innalzarlo l’unico “Ippogrifo” sarà una seconda struttura ferrosa a pavimento, quasi una pedana dal piano leggermente obliquo rispetto al terreno. Salendoci sopra l’equilibrio diventerà più precario, e un sistema ottico farà sprofondare l’osservatore verso il cuore della terra, che gira vorticoso, facendogli rivivere l’emozione di Astolfo che, prima di lanciarsi verso la luna, ha dovuto affrontare gli Inferi.

Entrambe le sculture vivono del forte contrasto tra la rudezza dell’esterno, rugginoso, e la delicata volatilità della visione mobile e tridimensionale dei paesaggi interni.

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