Alla Galleria Officine dell’Immagine di Milano, da domani 20 ottobre fino all’11 dicembre è ospitata la mostra “Pandora’s Box”, la prima personale italiana dell’artista franco-algerina Halida Boughriet (Lens, 1980), che, con la cura di Silvia Cirelli, raccoglie 15 opere dell’artista nell’intento di esplorare la grande versatilità di una giovane interprete che continua a sorprendere con un’estetica ricercata e incisiva, profondamente attenta alle difficili dinamiche dell’universo interiore.
Infatti, Halida Boughriet ama confrontarsi con tematiche legate a problemi socioculturali, identitari, comportamentali e geopolitici che interessano non solo la realtà africana, a cui è strettamente legata, ma che riguardano in generale la storia culturale attuale, segnata oggi, più che mai, da scompensi derivanti il senso di sradicamento, l’incomunicabilità fra le persone e il bisogno di “appartenere”.
Partendo dall’utilizzo del corpo come fondamentale veicolo espressivo, l’artista si distingue per una netta predilezione di specifici linguaggi che fanno della performance il proprio punto focale, che vengono poi riprodotte con serie fotografiche, o semplicemente documentate su supporto video
Così, il nucleo centrale del percorso è la serie fotografica Pandore (2014), alla quale si ispira anche il titolo della mostra.
La minuziosa attenzione per i dettagli scenici torna anche nella serie Corps de Masse (2013-2014), ambientata nelle incantevoli sale del Museo d’Arte e di Storia di Saint-Denis, Francia, in cui i corpi dei personaggi degli scatti, si muovono lentamente per poi unirsi in armoniose pose che riprendono i soggetti dei quadri esposti nella collezione del Museo.
Seguono opere con temi come la memoria culturale e l’importanza della coesione fra le persone come nel recente progetto Réflexion(s) del 2016, che rilegge la teoria del filosofo Leibniz. In questa prospettiva, con Reflexion(s) l’artista propone l’utilizzo dello specchio per far partecipare l’osservatore alla proiezione di cui “l’altro” è protagonista: ciò che infatti vede lo spettatore non è che il riflesso di quanto viene contemplato dal soggetto della fotografia.
È presente il video Autoportrait, in cui gli occhi della stessa Boughriet diventano letteralmente lo specchio di dolorosi ricordi collettivi che lasciano scorrere quasi incessantemente immagini di guerra, di distruzione e sofferenza, senza mai riuscire a placarsi. E poi la serie Cri silencieux (2016) dove il potere del suo grido silenzioso, nel centro della Piazza dei Martiri di Beirut, spinge la narrazione a un livello percettivo in forte tensione.