Arte e sport da sempre condividono destini analoghi e frequentazione comuni sin dalla Preistoria: l’arte figurativa esiste da millenni, prima ancora della parola scritta o di manufatti complessi, mentre lo sport, inteso quale attività fisico-ricreativa, fa parte della natura animale, benché nell’essere umano evoluto assuma specifiche peculiarità, dove vengono mescolati il gioco, l’agonismo, il cerimoniale, l’azzardo e i codici più svariati ed eterogenei. Basta dare un’occhiata nei musei, sui libri di storia dell’arte o ai siti archeologici, per osservare e scoprire come ogni grande antica civiltà, dall’Egitto alla Mesopotamia, dall’India alla Cina fino all’America precolombiana, comprenda non solo magnifiche testimonianze estetiche (pittura, scultura, architettura e arti decorative), ma pure attività paragonabili alle recenti modalità agonistico-sportive.
Tuttavia per avere un’idea più vicina al mondo contemporaneo dello sport medesimo, occorre partire dalle prime grandi civiltà occidentali, ovvero i Greci e i Romani, lungo oltre un millennio, grosso modo tra il 700 a. C. e il 400 d. C. Le poleis (città-stato) come Atene organizzano presso Olimpia i celebri Giochi detti appunto olimpici, che vengono ampiamente documentati da scrittori, pittori, scultori, benché oggi restino solo poche opere integre tra cui il meraviglioso Discobolo in marmo di Mirone, emblema di pura classicità, a metaforizzare un’iniziativa che lascia il segno nella coscienza collettiva a futura memoria: infatti a distanza di quasi tre millenni, il ricordo mitico è tale che le Olimpiadi verranno ‘ripristinate’ nel 1896 dal consesso delle Nazioni moderne proprio nel tentativo di ricreare il cosiddetto spirito olimpico, grazie al quale nell’antica Grecia cessa ogni forma di guerra civile e di conflitto internazionale; Olimpia accoglie gente da tutto il mondo, per quindici giorni, ogni quattro anni, al rito super partes di uno ‘sport’ interiorizzato con valenze persino artistiche: i poeti intonano liriche per i vincitori, che a loro volta rimediano un’artistica corona d’alloro quale premio ambitissimo.
È dal 1896 che quindi bisogna partire nel cercare di raccontare i legami tra arte e sport della modernità, non solo per la riproposta olimpica, ma per il fatto assai significativo che proprio in quegli anni da un lato rinascono le pratiche e le discipline sportive modernamente intese, dall’altro emerge anche una pittura moderna in senso stretto, con il definitivo trionfo dei quadri impressionisti e con il loro già imminente superamento grazie alle numerose correnti espressioniste. Ovviamente tra il Discobolo (455 a. C.) e il gruppo bronzeo antesignano Giocatori di calcio (1906) di Raymond Duchamp-Villon sussistono millecinquecento anni in cui sport e arte vivono relazioni spesso difficili, contraddittorie, inesistenti fra gli alti e bassi della Storia con la S maiuscola: nella Roma antica, sopratutto imperiale, lo sport modellato sulla prassi greca diventa alquanto crudele, violento, antidemocratico, fino alla brutalità dei gladiatori, benché un mosaico più unico che raro – Palestrite – sollevi qualche dubbio positivo.
Rinvenuto nella Villa del Casale della sicula Piazza Armerina e databile il IV e V secolo d. C., il mosaico della Stanza delle Palestrite esibisce dieci fanciulle in succinti bikini che si dedicano a esercizi ginnici (palla, corsa, pesi, eccetera) come non si vedranno più fino all’inizio del nostro XXI secolo quando il ‘due pezzi’ viene ufficialmente reintrodotto in sport come pallavolo, beach volley, atletica leggera. La spada di Damocle, dopo Piazza Armerina, del resto si abbatte sull’intero mondo sportivo (anche maschile), da parte delle confessioni cristiane e islamiche predicanti la mortificazione corporea accanto all’ascetismo esistenziale: rispetto alle Olimpiadi greche in cui gli atleti gareggiano tutti nudi o rispetto al ‘panem et circenses’ (Giovenale) di latina memoria è un bel passo indietro, che connota l’intero Medio Evo e la stessa Era Moderna. In tal senso, da un lato il tabù nel nudo nello sport è infranto solo nel XX secolo, mentre in alcuni Paesi fondamentalisti vengono poste dure limitazioni ai momenti ludici quotidiani (compresi appunto arte e sport).
Dopo Romolo Augustolo non si parla più di sport, né lo si dipinge, perché di fatto non esiste: fino al XVIII secolo, prima il torneo cavalleresco, poi la battuta di caccia, sono gli unici eventi para-sportivi immortalati su miniature, tavole, affreschi, stampe, talvolta da Artisti con la A maiuscola, su volere del committente per avvalorare il potere di quest’ultimo. In un contesto, dove risulta ancor oggi ricostruire una storia di sport, giochi, passatempi di rado praticati (e perciò ancor più raramente frequentati da poeti, teatranti o pittori, fa eccezione il dipinto Paesaggio invernale con una trappola per uccelli (1565), tavola a olio del fiammingo Peter Bruegel che ritrae ventisei persone che pattinano sul ghiaccio di un fiume gelato in mezzo a un paesino: un’attività fisica, ginnica, estetica oggi definibile interclassista, amata dai poveri, ritenuta elegante dai ricchi nobili o borghesi.
Occorre però attendere gli anni Settanta dell’Ottocento per trovare alcuni pittori realisti sia europei sia nordamericani, che sono intenti a raffigurare sport vecchi e nuovi come lotta, pugilato, canottaggio, ippica, croquet, anche se il quadro più celebre tra questi, La colazione dei canottieri dell’impressionista Auguste Renoir presenta gli atleti a riposo, imponendosi comunque, al di là delle bellezza estetica quale testimone di un’epoca (o meglio di uno stile di vita tipicamente parigino).
A parte la scultura di Duchamps-Villon, il primo vero quadro moderno sullo sport resta Les joueurs de football (1908) che Henri Rousseau il Doganiere dipinge lo stesso anno del rivoluzionario Demoiselles d’Avignon di Pablo Picasso, il quale, dedicandosi a un numero ristretto di soggetti, entro una produzione mastondontica, evita invece lo sport, a meno che non si voglia prendere come tale la corrida e la tauromachia, verso cui l’attenzione è rivolta attraverso centinaia di quadri e disegni. La tela di Rousseau, dunque, celebra, per prima, in uno stile tra naïf, surreale, art nouveau, una nuova epopea di massa, benché in maniera ancora un po’ statica e fiabesca: spetta insomma ad altre correnti moderne l’intuizione di trasferire in forme, linee, colori, geometrie il ‘ritmo’ e il ‘dinamismo’ del momento agonistico.
È infatti la corrente o movimento o avanguardia futurista, in Italia, a sviluppare un’arte in grado di interpretare le peculiarità dello sport moderno: e ritmo e dinamismo sono quindi le parole-chiave per relazionarsi ad alcune opere memorabili, dipinte o disegnate tra il 1910 e il 1930, dove il singolo campione, l’azione repentina, lo sforzo muscolare, il gioco di squadra vengono inscenati scomponendo la realtà oggettiva in movimentatissima visionarietà cubistica (differente dalla statica analisi dell’ortodosso cubismo picassiano), insomma pronta a simboleggiare e glorificare, oltre lo sport, la progressione di un mondo in corsa (e ormai sempre più di corsa), tanto da far dire al celebre Manifesto che “un automobile in corsa è più bello della Nike di Samotracia”.
Le opere futuriste sportive che son degne di entrare a buon diritto nella storia dell’arte sono, al proposito, numerosissime, a cominciare da Dinamismo di un ciclista e Dinamismo di un footballer di Umberto Boccioni, per sfociare nella ricerca coeva e quasi metodica di Giacomo Balla sulle gare a motori con Velocità d’automobile e Auto in corsa (tutte e quattro del fatidico 1913) fino alla sintesi quasi astratta di Ritmo + rumore + velocità d’automobile dell’anno successivo, per quanto occorra ricordare un diretto precedente francese, il dipinto di Jean Metzinger Au Vélodrome del 1912, definibile cubo-futurista. Restando sulle ruote, anche la moto da corsa vive un momento-clou futurista con i due Motocilista di Fortunato Depero e Guido Maria Del Monte, dipinti rispettivamente nel 1923 e nel 1927. Persino il cosiddetto Secondo Futurismo degli anni Trenta, nella corrente dell’aeropittura trova quasi un pendant diretto tra arte-vita-sport: il massimo esponente Gerardo Dottori, a parte i quadri su calcio e pittura, è proprio artista sportivo in pieno quando dipinge ad esempio un paesaggio visto in picchiata da un apparecchio volante come in A 300 Km sulla città (1934).
Le innovazioni delle avanguardie vengono però quasi del tutto eliminate, censurate, mortificate dai regimi totalitari, pronti comunque a realizzare, attraverso pitture e sculture monumentali, un’idea eroica e superomista dello sport medesimo: lo stalinismo teorizza e pratica il realismo socialista (la Parata del portiere di Viktor Popkov è però notevole per taglio prospettico), il nazismo propende per un neoclassicismo assoluto (con un’unica opera interessante, il film Olympia del 1936 di Leni Riefensthal, la quale dell’introduzione omaggia la scultura greca), il fascismo con il Novecentismo converte i futuristi a uno stile moderato e tradizionale (il top e il kitsch con le sculture al Foro Mussolini, poi Italico) che però non rinnega del tutto il moderno, come si può dedurre dall’olio Sintesi di una partita di calcio di Carlo Carrà, mentre il conformistico Ritratto di Primo Carnera di Balla, ‘tornato all’ordine’ assume inconsciamente preveggenti valenze di pop-art, tra iperrealismo e postmoderno.
Tuttavia la pop-art è la prima a latitare sul versante sportivo: nonostante la frequentazione di ogni soggetto tipico della società massiva contemporanea, i pop-artists americani, da fine anno Cinquanta a oggi, trattano pochissimo lo sport, con l’eccezione dei ritratti su commissione di Andy Warhol, che, tra gli altri, raffigura anche due autentici miti come Pelé e Cassius Clay, mentre lo scultore Claes Oldenburg presenta con Shuttlecocks (1994) un enorme volano installandolo nello Sculpture Park di Kansas City e con Flying Pics (1998) giganteschi birilli da bowling in un giardino di Eindhoven (Olanda). Un’analoga monumentalità riguarda anche l’italiano Marco Lodola, generazionalmente definibile neo-pop, con Teoforo, scultura luminosa posta nel 2014 in mezzo una rotatoria di Pavia, mentre l’opera più nota Calciatore, in plexiglas, celebra la rovesciata di un attaccante. Forse, però, le immagini più rappresentative dei rapporti fra arte e sport nell pittura americana restano le serie fotografiche in bianco e nero di Michael Halsband con Warhol e Basquiat camuffati da pugili, mentre la primogenitura del quadro pop-sport spetta all’inglese Richard Hamilton che già nel 1956 con il collage Just what is it that makes today’s homes so different, so appealing? dà origine all’intero movimento: in un altro collage, Adonis in Y-Fronts (1962), il torso di un atleta è figurativamente assemblato con una soluzione materica che segna distacco e ironia.
I rapporti tra arte e sport risultano tuttavia sempre più crescenti e sterminati dal punto di vista delle cosiddette arti minori, quando insomma illustratori e designer si mettono al servizio di grandi eventi o team sportivi per crearne o sottolinearne l’identità attraverso immagini, siano esse i poster per le Olimpiadi, i rilievo su una medaglia o i dettagli di una maglia, una tuta, una divisa. Dopo il futurismo non è più la pittura a cogliere iconicamente il segno agonistico, ma tocca ai nuovi linguaggi visivi e audiovisivi – fotografia, cinema, televisione, video, computer – sperimentare inedite possibilità di offrire una visione del match, dell’evento, del contorno sportivi come nemmeno l’occhio nudo riesce a osservare grazie a tecnologie sempre più precise e sofisticate; tuttavia non sono le prove autoriali a fornire esempi artistici illuminanti (se non qualche raro caso isolato) bensì i programmi TV generalisti e i canali tematici che, ad esempio, in una diretta televisiva, grazie alle molte telecamere in campo, forniscono inquadrature speciali per incontri sia individuali sia a squadre di ogni disciplina sportiva.
Non è questo lo spazio per approfondire questi ultimi ritrovati forse, nello sport, inclini più alla comunicazione che all’arte strictu senso: per terminare con la pittura, tornata di moda dagli anni Ottanta, dopo un trentennio di azzeramenti neoavanguardisti, l’immagine artistica più popolare in Italia, per un certo periodo, si trova su un francobollo: è quello da mille lire con scritto Italia campione del mondo di calcio disegnato da Renato Guttuso per celebrare appunto la vittoria della Nazionale ai Mondiali di Spagna 82: si vedono le mani di Dino Zoff, portiere e capitano, sollevare in alto l’aurea Coppa mondiale verso un cielo blu quadrettato che simboleggia chiaramente la porta da lui difesa assai bene; lo stile di Guttuso è, come sempre, espressionista con un tocco nazional-popolare da veterocomunista in grado di raffigurare ogni cosa. Non a caso nel 1984 Guttuso viene chiamato dal CONI per un Elogio allo sport con 75 nuove immagini esposte al Foro Italico è poi raccolte in volume: è forse, almeno in Italia, l’unico sforzo compiuto dalle istituzioni per sostenere e incrementare buoni rapporti tra arte e sport (e viceversa). E son passati trentadue anni, sebbene, fin dalla Preistoria, arte e sport da sempre condividano destini analoghi e frequentazione comuni.