di Luca Baldazzi
La Galleria 1/9unosunove di Roma ospita da oggi la mostra “Monocromi, 1958-61” di Sergio Lombardo (Roma, 1939), psicologo e artista, considerato tra i principali artisti italiani che hanno rinnovato il linguaggio artistico europeo e internazionale tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta.
In mostra è esposta la più ampia selezione dei suoi Monocromi che spaziano da opere molto grandi ad altre di dimensioni più piccole, sia su tela che su carta.
I Monocromi dell’esordio, realizzati tra il 1958 e il 1961, caratterizzano un momento peculiare della produzione dell’artista inserendosi nella riflessione sul confine tra arte e non-arte, e costituendo l’anticamera della Teoria Eventualista.
Sergio Lombardo, in dissenso con alcune idee dominanti dell’epoca, reagì alla concezione comune dell’artista come genio ispirato e, opponendosi quindi alla teoria dell’ispirazione, si prefisse come obiettivo la creazione scientifica di un’opera indiscutibilmente riconoscibile come oggetto non artistico. Egli intendeva produrre un’opera senza valore, priva di espressione, originalità, fantasia ed ispirazione. Ma in contraddizione con il suo obiettivo e con le sue aspettative, il risultato gli piacque e decise invece di creare più lavori utilizzando gli stessi processi esecutivi. I Monocromi, tessere di carta incollate su tela e verniciate con stesure monocrome a smalto, fanno da preludio alle radicali procedure dell’Arte Concettuale e sono il primo frutto delle sue sperimentazioni riguardo ai caratteri considerati non artistici. In questa serie si ritrovano alcuni dei principi che caratterizzano la sua intera ricerca come la spontaneità, l’astinenza espressiva e la strutturalità, secondo cui l’artista deve lavorare come uno scienziato e non più spinto da una creatività arbitraria. Questo processo automatico di produzione esclude l’arbitrarietà, l’irripetibilità e l’unicità dell’opera, e la avvicina intenzionalmente al prodotto di un automa facendola divenire solo un stimolo artificiale e ripetibile che sollecita nel pubblico una risposta spontanea e irripetibile. L’opera diventa cosi un unicum assoluto in relazione all’osservatore.
La spontaneità è legata agli errori: comportamenti involontari e non simulabili. Queste imperfezioni sono tanto più espressive esteticamente quanto meno volute; il loro fascino nasce proprio dal loro carattere unico e irriproducibile e attirano l’attenzione del pubblico il quale si identifica cosi nel compito dell’esecutore.
L’artista non deve esprimere se stesso poiché l’opera d’arte è solo uno stimolo per rendere evidente l’espressione del pubblico.