Quale crescita è prioritaria?


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Yayoi Kusama, Infinity Mirrored Room - Filled With the Brilliance of Life', Tate Modern, 2012. Photo by Loz Pycock

Yayoi Kusama, Infinity Mirrored Room – Filled With the Brilliance of Life’, Tate Modern, 2012. Photo by Loz Pycock

Tra le notizie che maggiormente occupano il nostro tempo di lettura o di ascolto possiamo annoverare quelle che riguardano l’economia sia in modo diretto che indiretto; questa affermazione è tanto vera quanto la si rapporta anche ad altri ambiti della società, come la politica che, soprattutto in tempi più recenti, sembra occuparsi prioritariamente dei risultati economici che di qualsiasi altro settore.

La crescita è quell’elemento che più spesso viene nominato e cercato da analisti, amministratori e governanti. Ma di quale crescita necessita una società per ritenersi in fase di benessere? Siamo certi che l’indicatore economico sia l’unico e il più attendibile? Se così fosse, perché un Paese come l’Italia è così ambito a livello mondiale, più di altri molto più solidi economicamente e con crescite più evidenti?

Sicuramente gli indicatori economici hanno grande utilità nel settore produttivo e finanziario, ma la qualità della vita è altra cosa e non tiene conto solamente della quantità di denaro circolante o del valore della produzione, ma della bellezza, della cultura e dell’accessibilità a quei servizi che nel loro insieme compongono il benessere individuale e sociale.

Dunque, il PIL, riconosciuto a livello globale come l’indicatore ufficiale del valore (economico) di un Paese, finalmente sembra non essere più sufficiente a misurare il reale ambiente nazionale: d’altronde le nazioni non sono fatte solamente di operatori economici, ma anche di (e soprattutto) di individui e per questo motivo stanno prendendo forza anche altri indicatori.

Il Prodotto Interno Lordo (PIL, in inglese gross domestic product o GDP) è il valore totale dei beni e servizi prodotti in un Paese in un anno, e destinati al consumo dell’acquirente finale, agli investimenti, alle esportazioni.
Bob Kennedy, già nel 1968 affermò che esso “misura tutto, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”. È una misura che definisce quanta ricchezza monetaria c’è all’interno di un territorio, ma non indica il reale benessere di un territorio (di cui fanno parte ambiente, cultura, servizi e welfare inteso in senso stretto, anche se quanto elencato è di per sé welfare). ll PIL, dunque, non basta a misurare il livello di vita in una società complessa.

Il Genuine Progress Indicator (GPI) è un parametro che si propone di calcolare quanto la crescita della produzione e dei servizi di un dato territorio contribuisca anche alla crescita del benessere complessivo.
Esso esce dall’ambito puramente quantitativo, per dotarsi di criteri qualitativi. A differenza del PIL, il GPI mette un segno più anche a quei prodotti e servizi che non generano scambio monetario; al contrario sottrae il valore di quelle attività che, pur implicando circolazione monetaria e profitti, non incentivano il benessere.
Il Genuine Progress Indicator mette segno positivo ai lavori domestici, alla cura dei figli, al volontariato, assegnando a queste attività un valore corrispondente al costo che avrebbero se si pagasse qualcuno per farle.
D’altro canto, tutti i costi legati al crimine vengono sottratti: spese legali, mediche, danni a immobili, etc. Si noti che si tratta di servizi che vengono conteggiati positivamente nel PIL. Idem per quanto riguarda il consumo di materie prime e risorse territoriali.

Il Better Life Index è lo strumento ideato dall’OCSE per misurare il benessere di un Paese. Così gli economisti dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che riunisce i 34 paesi più ricchi del mondo, hanno inserito ben 11 parametri diversi che vanno dagli indicatori “classici” come il livello di reddito medio, il tasso di disoccupazione o la disponibilità abitativa, a quelli più “innovativi” come la qualità delle relazioni sociali, il bilanciamento tra vita e lavoro e addirittura il livello di soddisfazione personale.

Il Benessere Equo e Sostenibile (BES) è un indice, sviluppato dall’ISTAT e dal CNEL, per valutare il progresso di una società non solo dal punto di vista economico, come ad esempio fa il PIL, ma anche sociale e ambientale e corredato da misure di disuguaglianza e sostenibilità.
Il BES viene determinato a partire da 12 indicatori: Salute, Istruzione e formazione, Lavoro e conciliazione tempi di vita, Benessere economico, Relazioni sociali, Politica e istituzioni, Sicurezza, Benessere soggettivo, Paesaggio e patrimonio culturale, Ambiente, Ricerca e innovazione, Qualità dei servizi.

La Felicità Interna Lorda o FIL (in lingua inglese Gross National Happiness – GNH) è il tentativo di definire uno standard di vita sulla falsariga del PIL. I criteri presi in considerazione sono la qualità dell’aria, la salute dei cittadini, l’istruzione, la ricchezza dei rapporti sociali.

Un esempio fondamentale dell’utilità a conoscere il proprio FIL è dato dal Bhutan, piccolo stato montuoso dell’Asia che già da 4 anni lo adotta come indicatore per calcolare il benessere della popolazione. Secondo alcuni dati questo paese è uno dei più poveri dell’Asia, con un PIL pro capite di 2088 dollari (2010). Tuttavia, secondo un sondaggio, è anche la nazione più felice del continente e l’ottava del mondo. Gli ideatori di questo indice non mirano ad una “retrocessione”, cioè non vogliono passare per anti-tecnologici o anti-materialisti, ma il loro programma punta a migliorare l’istruzione, la protezione dell’ecosistema e a permettere lo sviluppo delle comunità locali.
È dunque per questo che ogni stato deve sì prendere in considerazione il suo PIL, ma deve anche mirare al benessere dei cittadini, quindi deve attuare, se non in modo così prevalente, l’indicatore di felicità interna lorda; perché, come abbiamo visto, sul campo del benessere dei cittadini, anche un piccolo paese può essere uno dei migliori del mondo.
A differenza del Genuine Progress Indicator – che cerca effettivamente di misurare il benessere – la felicità interna lorda non è un tentativo di quantificare la felicità. Le due misure concordano, tuttavia, sul fatto che il benessere è più importante dei consumi.

Aqua Tower, Chicago (USA), photo George Showman

Aqua Tower, Chicago (USA), photo George Showman

Oggi, dunque, parlare di progresso significa fare riferimento soltanto a quello economico e l’indicatore principale resta il PIL. Si tiene conto del denaro, ma non di come questo venga utilizzato, di cosa accada sul territorio a livello paesaggistico e di sfruttamento delle risorse e nella società a livello culturale e di soddisfazione individuale. Una sorta di illusione che il resto, a parte il valore economico non esista, ma il presente è fatto anche di molto altro e il futuro non è preso in considerazione.

Nello scorso secolo abbiamo perso molte delle nostre ricchezze naturali e modificato (a volte in peggio) le risorse paesaggistiche; oggi non solo le risorse e i beni naturali sono a rischio a causa di alcune attività economiche, ma anche i beni culturali artistici e architettonici: la bellezza nel suo complesso è a rischio. Un pericolo che viene, oltre che da azioni locali  anche da fenomeni globali (come il cambiamento climatico).

La cultura e la bellezza possono essere una risorsa anche in un altro senso; la bellezza non è solo questione estetica, essa può essere un modo di assegnare valore a ciò che non è misurabile. La ricerca del benessere è positiva, porta progresso: ma quale progresso? Questo è il punto. Gli indicatori di cui abbiamo parlato sono punti di vista che una volta in mano alla politica diventano punti di partenza per intraprendere percorsi lunghi decenni che riguardano il futuro comune.

Poche volte si sentono i governanti nominare la bellezza e la cultura come fattori di sviluppo, ma per fortuna capita e sempre più spesso, come alla Conferenza internazionale tra i Ministri della Cultura tenutasi a Milano durante l’Expo nell’anno passato: più volte si è toccata la questione della bellezza e della cultura come cardini dello sviluppo, ma la piena attuazione di queste affermazioni non è così vicina.

Sarebbe positivo orientare le decisioni attraverso nuovi indicatori che tengano in gran conto la cultura e con essa la bellezza: le nuove costruzioni e infrastrutture sarebbero costruite considerando canoni estetici e l’ambiente circostante, la protezione dell’ambiente (naturale e urbano) garantirebbero maggiore qualità della vita e minori rischi ambientali, la cura dei beni culturali e l’attenzione alla qualità della vita darebbero sicuramente crescita, una crescita reale e più sostenibile di quella cercata e misurata oggi.

E così le parole di John Muir, che prendo in prestito per l’occasione, risuonano estremamente attuali: sicuramente il nostro impegno dovrà essere volto con forza verso la cultura e la bellezza “non con una cieca opposizione al progresso, ma opponendosi a un progresso cieco”.

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Informazioni su Anselmo Villata

Caporedattore dell'Agenzia Stampa Verso l'Arte, Vice Presidente Internazionale dell'Associazione Internazionale dei Critici d'Arte, Docente presso la 24Ore Business School e presso la Giunti Academy, Curatore, Critico d'Arte, Saggista, Cultural manager e Cultural planner orientato alla promozione e alla valorizzazione dei Beni Culturali con un'ottica all'interdisciplinarità e alle collaborazioni internazionali.

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