L’intervallo perduto e lo shock amazzonico. L’Arte all’epoca del Corona Virus


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(Il Progresso e la Catastrofe, sono il dritto e il rovescio di una stessa medaglia).

                                                                                                        Hannah Arendt

Due concetti hanno permeato il nostro linguaggio in questi mesi di pandemia: siamo in Guerra, e tenete la Distanza Sociale. Ciò in luogo di Distanza Fisica (che non rimanda alla lotta di classe) e Pandemia (che riguarda “tutti i popoli” e quindi non sono nemici in guerra, ma compagni di sventura) al posto di Guerra che vede scontri fra popoli. Poi si sono sprecate le illazioni fra virus creatosi naturalmente, e virus creato artificialmente, assieme ad una serie di previsioni vedi quella di Bill Gates della Microsoft che lo disse nel 2005, ad una sua conferenza.

Era prevedibile tutto ciò, o è frutto della divinazione? Come sempre l’arte e la filosofia erano in sintonia nel pronosticare la possibilità di un evento catastrofico di questo genere. Nella primavera del 2003 ero a Parigi, zona Place Cambronne, in cerca della Fondation Cartier, da poco aperta, per vedere la mostra Ce Qui Arrive (Ciò che accade) organizzata dal filosofo e studioso della società tecnologica Paul Virilio (1932/2018). Un palazzo in vetro e cemento che inglobava degli alberi all’interno ci sorprese di fronte ed entrati vedemmo in un salone appese al soffitto un groviglio di 2/3 auto fracassate e saldate assieme: non era la prima volta che ci accadesse di vedere “cose” (opere) appese, già il francese Cesar ci aveva abituato con le sue carcasse di Renault al muro. Ma qui l’impatto fu maggiore in quanto si era dentro un salone enorme, vuoto e trasparente, dal quale si vedevano i passanti per strada. Poi tutta una serie di foto di incidenti a parete. Visitammo la mostra e comperai il catalogo con l’intenzione di leggerlo con calma. Qualche mese dopo, ad ottobre, un’intervista sul settimanale “l’Espresso” era dedicata al professor Paul Virilio che alla domanda: Più la Società è complessa e sofisticata, più diventa vulnerabile?Rispondeva: “Certo. Alla catena del progresso corrisponde la catena della Catastrofe. Le due avanzano assieme. Oggi viviamo nella “dromosfera”, la sfera dell’accelerazione dei trasporti e delle trasmissioni, dove la velocità e l’interconnessione dei sistemi moltiplicano i rischi e facilitano la perdita del controllo”. Ecco a cosa era servita la mostra di Parigi: a dimostrare la possibilità dell’incidente insita nella super tecnologia. Pertanto uso sperimentale di gas tossici, e ricerche collegate ad una Guerra Batteriologica, possono innestare meccanismi di pericolo già in sé compresi. Ma cos’è che è venuto a mancare in questa frenesia di vita (?) che percorre le nostre strade, nei locali pubblici, nei teatri, nei caffè, nei luoghi di villeggiatura dove un flusso intransigente di immagini pubblicitarie, rumori, suoni, crea un tessuto sinestetico continuo fra la nostra fisicità e psiche, senza possibilità alcuna di riposo della mente? Qui un altro teorico culturale Gillo Dorfles (1910/2018) ci offre una risposta con il suo Intervallo Perduto (Skira editore 2005) quando ci spiega che l’Intervallo Perduto “è quello spazio neutro, ma colmo di forse, di attenzioni percettive che si realizza tra chi osserva (o ascolta) l’Opera stessa”. Concetto che riprende dai suoi studi americani del The Between: traducibile con “ciò che sta in mezzo, fra l’opera e lo spettatore come intervallo fisico e psicologico”. Ecco noi abbiamo perso questo intervallo, questa possibilità di meditazione che finalmente la crisi del Corona Virus ci ha fatto recuperare; ci ha messo davanti agli occhi. Per tali motivi direi che non ha senso parlare di Guerra, bensì di Shock pandemico. E pure qui l’arte ha dato i suoi segnali di una crisi che “stava per accadere”, parafrasando Virilio, anche con un altro francese, teorico culturale come i precedenti, inventore del Neo Realismo come risposta alla Pop Art americana: Pierre Restany. Inventore dell’Immaterialità dell’arte con Yves Klein e materialista mistico, a mio avviso. Egli nel 1978 parte in barca con altri 2 artisti da Manaos in Amazzonia e percorre il Rio Negro fino a San Carlos in Venezuela per 42 giorni dentro la foresta pluviale. Una vera quarantena come quella di Cristo nel deserto e ne esce, ovviamente, scioccato. Alla fine del viaggio scriverà il Manifesto del Naturalismo Integrale, firmato assieme a Lui dai due artisti che lo accompagnavano. Scrive: “ L’Amazzonia è oggi, nel nostro pianeta, l’ultima riserva, l’ultimo rifugio della Natura Integrale …… il Naturalismo Integrale è allergico ad ogni forma di Potere, o di metafora del Potere. L’unico Potere che riconosce non è quello, abusivo, della Società, ma quello purificatore e catartico della Immaginazione al servizio della Sensibilità….. Il Naturalismo è una lotta contro l’inquinamento soggettivo, più che contro l’inquinamento oggettivo, contro l’inquinamento dei Sensi e del Cervello più che contro l’inquinamento dell’Acqua e dell’Aria.”

Il ché sta a dire che prima dobbiamo purificarci Noi e di conseguenza ne discende pure il rispetto per la Natura e per il resto dell’Umanità. Pertanto l’ipotesi che qui adombro è che possiamo leggere, grazie all’arte ed alla filosofia, in maniera diversa questa Pandemia ed uscire da questa crisi, da questo shock pandemico, in maniera rinnovata, umanamente e socialmente, proprio grazie ad un pensiero comune che attento percorre lo Spirito del Tempo di ogni epoca. E dobbiamo a questi Maestri pensatori, più che alla politica, il senso vero del nostro futuro e della salvezza dell’umanità.

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