Michelangelo Pistoletto. Metawork


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“Metawork” è la mostra dedicata a Michelangelo Pistoletto allestita negli spazi della Gran Galleria della Reggia di Caserta, fino al 30 giugno 2025, che esplora le riflessioni rivoluzionarie dell’artista su arte e società offrendo un viaggio nel concetto visionario di “metamorfosi” e “interconnessione”.

Michelangelo Pistoletto, Metawork, Reggia di Caserta

La mostra, composta da oltre sessanta opere, prende il nome dall’opera Metawork-United Portraits presentata per la prima volta proprio in occasione dell’esposizione. Realizzata a partire dai ritratti fotografici di otto cittadini di Cittadellarte, essa riesce a ricombinarli tramite un programma di intelligenza artificiale consentendo quel passaggio che caratterizza il lavoro di Pistoletto già nei Quadri specchianti, dalla dimensione individuale a quella collettiva.

L’esposizione è prodotta dal Museo Reggia di Caserta e da Opera Laboratori, in collaborazione con Cittadellarte, Fondazione Pistoletto e Galleria Continua, e offre un profondo viaggio nel concetto visionario di “metamorfosi” e “interconnessione” dell’artista biellese.

Tra le tematiche affrontate il rapporto tra arte e spiritualità, con “Il tempo del giudizio”. L’opera, esposta nell’ala ovest del Palazzo reale, si presenta come un tempio che riunisce le principali religioni monoteistiche – cristianesimo, islamismo, ebraismo – e il buddismo. Ciascuna religione è rappresentata da un elemento simbolico collocato di fronte a uno specchio: un inginocchiatoio, un tappeto da preghiera, una statua del Budda.

In mostra alla Reggia di Caserta anche la serie “Messa a nudo” del 2020 che vede i protagonisti senza vestiti, diversi e unici. Senza preconcetti, la figura umana è presa nella sua interezza estetica e viene utilizzata dall’artista per dimostrare uno spaccato della società. Ogni individuo è mostrato come uguale di fronte alla bellezza della diversità, siano esse etniche, culturali o religiose. Il superamento delle frontiere segnate dalla dimensione pittorica rappresenta per Pistoletto l’apertura a un paesaggio che si affaccia sulla contemporaneità dell’esistenza.

“Terzo Paradiso” rientra nella serie di lavori denominata Divisione e moltiplicazione dello specchio, nata dalla constatazione che lo specchio può riflettere qualsiasi cosa tranne se stesso. Sulle otto coppie di specchi che compongono l’opera è rappresentato il simbolo del Terzo Paradiso, una riconfigurazione del segno matematico d’infinito nella quale, tra i due cerchi che compongono il simbolo dell’infinito assunti da Pistoletto a significato dei due poli opposti di natura e artificio, viene inserito un terzo cerchio. Esso rappresenta il grembo generativo di una nuova umanità, ideale superamento del conflitto distruttivo in cui natura e artificio si ritrovano nell’attuale società.

Sempre nell’ambito delle opere specchianti sono esposti “QR Code Possession”, “Autoritratto” e “ConTatto”. Nella prima su un’immagine frontale del corpo dell’artista sono impressi come tatuaggi dodici QR code, tecnologia che Pistoletto utilizza a partire dal 2019, che permettono di accedere a immagini e testi relativi a diversi momenti della sua ricerca artistica. Nell’altra c’è una citazione di una delle più celebri opere dell’arte occidentale: La creazione di Adamo, l’affresco cinquecentesco di Michelangelo Buonarroti riproposto sotto forma di serigrafia. Nell’opera di Pistoletto, tuttavia, non è più il contatto con la mano di Dio a generare la creazione di Adamo, ma è il dispositivo della divisione e moltiplicazione dello specchio a generare la creazione a partire dalla sola mano dell’uomo. Nell’opera Qr Code Possession – The Formula of Creation Meetings (2023) venti QR code3 colorati dipinti su altrettante tele di grandi dimensioni, simili a una serie di quadri astratti, rimandano alle registrazioni video di venti incontri con cui Pistoletto ha discusso il suo libro “La Formula della creazione” assieme a esponenti del mondo dell’arte, della politica, della scienza e della religione. In mostra nella Gran Galleria anche il “Labirinto”, opera emblematica dell’Arte Povera, in particolare per l’utilizzo del cartone, presentata per la prima volta nella sua personale presso il Museo Boymanns di Amsterdam nel 1969.

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