A Venezia, presso Ca’ Rezzonico, Museo del Settecento Veneziano, fino al 31 marzo 2025 è allestita la mostra “Loris Cecchini. Leaps, gaps and overlapping diagrams”, realizzata a cura di Luca Berta e Francesca Giubilei, in collaborazione con Galleria Continua e VeniceArtFactory.
Le sculture ramificanti e proliferanti, che costituiscono oggi un asse portante della pratica di Loris Cecchini, derivano dai suoi primi esperimenti con la scultura modulare, condotti vent’anni fa. Fu l’inedita capacità di calcolo dei nuovi strumenti di modellazione tridimensionale dell’epoca a imprimere un salto quantico nel diagramma a tre fattori, che da sempre innerva il suo lavoro: natura, scienza, arte. La potenza di fuoco della tecnologia coniugata alla modularità apriva nuovi spazi operativi verso un antico obiettivo. Questa mostra presenta una serie di opere modulari che tentano di incorporare nella propria struttura le interazioni potenziali tra i moduli, e quelle tra i moduli e lo spazio di espansione determinato dall’ambiente esterno. In questo senso esse sono costitutivamente, e non episodicamente, opere site-specific, che si formano e funzionano in rapporto al contesto. La collocazione delle sculture di Cecchini nelle sale di Ca’ Rezzonico determina anche un ulteriore livello di interazione e di corrispondenza. Ammirando i magistrali soffitti affrescati da Giambattista Tiepolo, Jacopo Guarana, Giovanni Battista Crosato e Gaspare Diziani, si percepisce quanto essi proiettino un desiderio di sfondamento visivo della gabbia architettonica. Le nuvole di Tiepolo, forme senza forma, volumi senza massa, sono al contempo punto di appoggio per le figure che popolano il cielo, ma anche strumento di connessione che attraversa gli stati della materia pittorica (cielo rappresentato, architetture dipinte, architetture reali) come le sfere aristoteliche, fino a congiungersi allo spettatore nello spazio fisico per risucchiarlo verso l’alto. Una comune ansia di scardinamento delle geometrie consolidate ispira gli affreschi settecenteschi e la pratica artistica di Cecchini. Laddove però Tiepolo e i suoi emuli proponevano come rimedio la rappresentazione illusoria di uno sfolgorante spazio celeste, Cecchini invece lavora per sottrazione rispetto alla logica mimetica. Certo, le sue installazioni possono ricordare concrezioni minerali, o proliferazioni vegetali. Ma ciò che le caratterizza in modo essenziale è l’eliminazione della soglia dentro/fuori, l’assenza di centro e l’abolizione della forma intesa come convessità intuitivamente comprensibile, riconoscibile, assimilabile a un qualche solido geometrico. Cecchini vuole estrarre la struttura morfologica, esporre il processo morfogenetico, mettere in scena i salti e i buchi dei processi non lineari, per “celebrare la geometria di ogni cosa” senza limitazioni, per seguire geometrie plurivoche e imprevedibili. Il che comporta, non accidentalmente, una sensibile contiguità ad alcune espressioni della decorazione barocca e rococò che si irradia in ogni spazio disponibile. Le opere della mostra sono costituite in misura rilevante da installazioni modulari in acciaio e in alluminio, sia all’interno che negli spazi esterni del palazzo. A esse si affiancano interventi scultorei di natura granulare, creati con fusioni in alluminio a partire da stampi composti da microsfere di polistirolo che ricalcano qualunque forma deteriorandone il grado di definizione, e lavori più assimilabili alla bidimensionalità, in resina a stampo con vellutazione di nylon, che evocano pattern rintracciabili in natura su scala microscopica e macroscopica. Infinità discreta o continua, analogica o digitale.