A Castellabate (SA) anche quest’anno la Fondazione che promuove il Premio Pio Alferano dedicato a grandi nomi dell’arte e della cultura italiana organizza una serie di mostre negli spazi espositivi del Castello dell’Abate, visibili fino al 6 gennaio 2025, con il titolo comune “La commedia dell’arte”, ricavato dal nome della serie a cui appartiene il prezioso arazzo esposto nell’occasione.
Con questo titolo s’intende esprimere la convinzione che i differenti modi di concepire l’arte e di metterla in pratica abbiano comunque l’obbligo di riconoscersi in un’aderenza alla vita in tutti i suoi aspetti, dai più frivoli ai più seri, dai più distensivi ai più inquietanti, stabilendo con essa una piena continuità in cui riflessioni, motivazioni e propositi condividano degli stessi obiettivi di massima.
Le mostre sono composte dalle opere di: Agostino Arrivabene, Enrico Robusti e Antonella Cappuccio, curate rispettivamente da Sara Pallavicini, Rebecca Delmenico e Fabio Canessa, e di una scelta di opere della collezione Parenza Angeli, a cura di Massimo Pirondini, con il contributo di Francesco Petrucci, Conservatore del Palazzo Chigi di Ariccia.
Abilissimo nel far rivivere, con capacità quasi medianiche, il gusto più spettrale del primo Romanticismo all’interno del quale riserva un ossequio tutto speciale al visionarismo misticheggiante di William Blake, Agostino Arrivabene attraversa le mitografie del demoniaco lungo un crinale continuo fra passato e presente sulle ali di un fascino antico, quello dell’orrido, che non smette di suggestionarlo.
È la spiazzante constatazione della precarietà, l’impossibilità di riconoscere un centro di gravità morale che sia valido per l’intero genere umano, il filo rosso che accomuna le nove opere di grandi dimensioni che Enrico Robusti, fautore eccellente di una figurazione ridondante e caustica in cui l’eredità del Barocco trova un’originale congiunzione con l’Espressionismo tedesco. Contraddistinti dal ricorso ad anatomie stravolte ed agitate da impulsi spesso perversi, punti di vista anomali, senso dell’horror vacui che tutto risucchia implacabilmente, i dipinti di Robusti espongono una condizione moderna troppo disperata e disperante per non ispirare in chi guarda esorcistico sarcasmo.
“Dare corpo ai sogni… accarezzarli, sentirne il profumo, dialogare con infantile e ironica leggerezza con i protagonisti, giocare con l’immaginario simbolico del contenuto di famosissime opere d’arte di grandi artisti”: è quanto si propone Antonella Cappuccio, un passato da costumista e scenografa per cinema, teatro e televisione, madre di Gabriele e Silvio Muccino, con i suoi “teatrini” e specchi ondulati, creazioni a base di materie non canoniche che rivoltano come guanti gli universi espressivi di celebri capolavori dell’arte, della letteratura e del cinema. Completano la mostra le opere della collezione del romano Roberto Parenza Angeli, degno erede di una passione già sviluppata dai genitori Gian Franco e Anna Maria, la cui raccolta viene presentata per la prima volta al pubblico attraverso una selezione di oltre venti opere che fra certe e attribuite annovera nomi di straordinaria levatura come quelli, fra gli altri, di Andrea del Sarto, Antonello Gagini, Annibale Carracci, Guido Reni, Guercino, Jusepe de Ribera, Carlo Saraceni, Carlo Maratta, Vincenzo Camuccini, Ippolito Caffi, Gustave Courbet.