Nelle fotografie di Federica Gioffredi, che espone in un giardino segreto di Posillipo, i protagonisti sono i Campi Flegrei e l’Alta Savoia, ripresi con scatti in bianco e nero in cui l’elemento acqua si combina con atmosfere, fragranze e suoni, che creano un’esperienza ricca di suggestioni, nel giardino Balè en plein air fino al 30 luglio.
In questa mostra personale, “Sinestesie d’acqua tra cielo e terra”, curata da Bianca Stranieri, le foto sono appese agli alberi, per un’immersione nell’arte e nella natura.
Racconta la stessa artista: “Nell’acqua dei laghi d’Annecy in Francia, nell’Alta Savoia, e d’Averno nei Campi Flegrei immortalo il crogiolo della loro fusione, che evoca e invoca l’intima dicotomia umana, figlia della natura: bene e male, paradiso e inferno, vita e morte, presente e passato, bianco e nero. E in un momento delicato come questo ho scelto di puntare l’obiettivo sui Campi Flegrei. L’attenzione per questo territorio deve essere costante e non episodica, per l’arte, la bellezza, la storia che racconta. In questo viaggio ho scelto l’acqua”.
E i viaggi sono la vera sostanza della sua ricerca, fonte prolifica di materiale fotografico. Ma rispetto al passato qualcosa è cambiato: nell’era digitale in cui è avvenuta la rivoluzione copernicana della fotografia, che da pratica per raccontare il mondo è diventata pratica per raccontare se stessi e semmai il proprio di mondo, si è avuto un capovolgimento della prospettiva, nel quale l’artista napoletana tenta di rendere compatibile un universo sfuggente e affascinante con il suo originalissimo modo di guardare le cose: fotografare gli elementi non come li vede, ma come li sente. Gioffredi mette a nudo visioni ed emozioni contrastanti senza pudore filtrante, infondendo la piena coscienza e a un tempo l’incoscienza di un sé che, come l’acqua, ha nella sua apparente fragilità la vera forza del tempo. Sensibile e simpatica nel privato, precisa e dettagliata sul lavoro, in ogni suo scatto ci mette tutta se stessa, vi traspone la sua passione per la vita, per il mondo che la circonda, per cui la foto non è la cattura di un attimo irripetibile, come per Bresson, ma un pezzo di una storia da raccontare; da ciò si evince perché la sua sia una fotografia così potente, evocativa, delicata ma allo stesso tempo profonda e pregna di significato. Il suo metodo è semplice ed essenziale: luce naturale, attrezzatura indispensabile, equilibrio fra natura e uomo, bianco e nero come essenza e come struttura basilare della foto. La fotografia diventa il modo per andare contro la decadenza e imprimere bellezza in modo indelebile. Lo spazio è catturato in una prospettiva desueta, espressione dell’inconscio, che sfugge al tempo.