Cristino de Vera. Eremita della pittura


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È in mostra al Cervantes di Roma, per la prima volta in Italia, Cristino de Vera (Santa Cruz de Tenerife, 1931), uno dei grandi pittori spagnoli della seconda metà del Novecento, con una personale dal titolo “Cristino de Vera. Eremita della pittura” a cura di Juan Manuel Bonet, già Direttore del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid.

Cristino de Vera, Finestra a sud di Tenerife, 1987, olio su tela, 100×73 cm, Collezione CajaCanarias

Ospitata fino al 4 maggio prossimo nella Sala Dalì, la mostra è realizzata grazie alla collaborazione tra l’Istituto Cervantes di Roma, col Governo delle Isole Canarie, la Fondazione CajaCanarias e la Fondazione Cristino de Vera nata nel 2009 nella meravigliosa città di La Laguna. L’esposizione presenta una trentina di opere tra oli su tela e disegni provenienti dalle rispettive collezioni della Fondazione CajaCanarias e della Fondazione Cristino de Vera, nonché da quella del Governo delle Isole Canarie. Un’occasione veramente unica per ammirare l’opera di questo “pittore solitario e amico della contemplazione, della meditazione e del silenzio” (J.M. Bonet) nelle cui nature morte, paesaggi, ritratti, riecheggiano rimandi a Morandi e a Zurbarán.
Cristino de Vera ricevette una formazione presso la Real Academia de Bellas Artes della sua città natale, dove venne notevolmente influenzato da Mariano de Cossío, membro di un’illustre saga cantabrica ed esponente, durante il periodo anteguerra, del realismo magico. Cristino de Vera abbandonò la sua prima vocazione per il settore marittimo per dedicarsi alla pittura.
Nel 1951 il pittore si trasferisce a Madrid, dove prosegue la sua formazione nella bottega di Daniel Vázquez Díaz, e continua a frequentare le lezioni a San Fernando. Grazie al suo maestro conosce Adriano del Valle, autore della prefazione alla sua personale del 1956 presso la Galleria Alfil.
Pittore della luce e del silenzio, dei “piangenti”, del paesaggio di Castiglia (le sue città, i suoi umili cimiteri circondati da cipressi), della sua isola natale, il cuore pulsante dell’opera di Cristino de Vera; lo testimoniano le sue nature morte, molte delle quali sono vanitas e in cui, oltre ai crani, è possibile trovare specchi, rose, candele e bicchieri, o tazze d’ispirazione certamente morandiana, sebbene questo aspetto si inserisca nella tradizione spagnola tipica in Zurbarán e Luis Fernández, ma anche in Sánchez Cotán o Juan Gris. Insieme a questi soggetti, egli tratta anche la figura umana ed è un ritrattista affermato, come si può notare dall’effigie che rappresenta il suo collega e amico Antonio Quirós,
Cristino de Vera, che pratica l’arte della ripetizione, dell’isolamento, del cambiamento su pochi motivi e la cui opera cristallina possiede una profonda essenza spirituale, ebbe la tentazione all’astrazione agli inizi degli anni Sessanta. Ciononostante, ben presto la abbandonò, cancellandola del tutto. Tuttavia, ha coltivato sempre la sua devozione per l’arte non figurativa come in Tàpies, Rothko, Clyfford Still o Gonzalo Chillida.

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