Presso la Galleria della Fondazione Culturale San Fedele e il Museo San Fedele di Milano, fino al 2 marzo è esposta la retrospettiva di Claudio Costa (Tirana, 1942) intitolata “Ecce homo”. L’esposizione, a cura di Andrea Dall’Asta e Stefano Castelli, ripercorre la carriera dell’artista riunendo venti opere realizzate tra il 1968 e gli anni Novanta.
Caratterizzata da un’inventiva libera e anticonvenzionale, la ricerca di Costa affonda tuttavia le sue radici in rigorosi studi nel campo delle scienze sociali. Il suo lavoro risulta tuttora estremamente attuale non solo per i tratti stilistici, ma perché ha anticipato diverse tendenze oggi conclamate: l’idea di opera d’arte come “archivio” e come elemento linguistico aperto al dialogo con lo spettatore, l’adozione di un approccio “etnografico” nei confronti dei temi sociali.
La mostra affronta i temi fondamentali dell’artista (antropologia, etnografia, paleontologia, alchimia, ricerca sulle proprietà dei materiali, riflessioni sull’idea di museo) tramite un percorso espositivo che attraversa tutte le fasi della sua carriera. L’excursus parte dalle opere di stampo concettuale eppure estremamente “concrete” di fine anni Sessanta-inizio Settanta, per poi analizzare con diversi esemplari la sua ricerca più nota, quella degli anni Settanta. In questo periodo, Costa dà vita a un corpus di opere che costituiscono una sorta di “archivio” dell’Uomo, toccando temi come la dignità dei popoli all’epoca considerati “primitivi”, la conservazione della memoria, il legame tra conoscenza del passato e progresso. Tra i lavori esposti, spicca la “cassa” del 1976 che anticipa il ciclo dell’Antropologia riseppellita, presentato nel 1977 a Documenta.
Si passa poi agli anni Ottanta, decennio durante il quale la creatività dell’artista percorre diverse direzioni, pur nella coerenza. Il ritorno alla pittura e al disegno assume forme del tutto peculiari, mentre gli assemblaggi coniugano la ricerca sulla cultura rurale e quella sul continente africano.
Le opere degli anni Novanta dimostrano ulteriori evoluzioni e rinnovata vitalità, con la sperimentazione di nuovi materiali e iconografie. Appartiene a questa fase anche un inedito, il Mappamondo che fu esposto solo in forma privata nell’ambito del G8 di Genova del 2001. La mostra si completa con l’importante opera La pietra e il corno (1976-77) collocata negli spazi del Museo San Fedele, al quale viene donata in occasione della mostra.
Accompagna l’esposizione un catalogo con i testi dei curatori e una biografia aggiornata dell’artista.