Presso il Museo regionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Palermo, Palazzo Belmonte Riso, fino al 17 luglio è esposta la mostra Giovanni Valenza, a cura della Fondazione Orestiadi di Gibellina.
La mostra presenta oltre venti opere, realizzate quasi tutte appositamente per questa occasione e accostate ad altre che provengono dalla più recente produzione del pittore “controcorrente”, testimone di quella straordinaria stagione artistica palermitana, a cavallo tra gli anni 70 e 80, di cui è stato uno degli esponenti più rappresentativi. Artista “controcorrente” Giovanni Valenza (Petralia Sottana, 1957) irrompe in quel panorama artistico di Palermo, dominato da gallerie e artisti noti e affermati in cui gli esordienti difficilmente trovano spazio, con un linguaggio espressivo dirompente, successivamente definito post- impressionismo palermitano, fatto di accostamenti cromatici non accademici, che dichiarano palesemente ma in modo non consueto, il suo talento da vero pittore, abile nel disegno e nell’imbastire “sceneggiature” per le sue tele. Doti confermate anche nei numerosi trompe l’oeil e nelle pitture di scena delle prime esperienze di vita artistica di Valenza, tra il 1975 al 78 in quel contesto irripetibile della Locanda degli Elfi, fucina del teatro underground della città, dove si trovavano Scaldati, Truden, Spicuzza, Costa, Civiletti, Costagliola, Fabrizio Lupo.
Giovanni Valenza si presentava con un piglio spregiudicato e ‘punk’ incarnato nell’imaginario popolare di una Palermo governata da un caos vitale e freaks: una sorta di sconfigurazione cosciente dell’immaginario figurativo dominato dal guttusismo dilagante e d’ordinanza. Per comunicare questa forma di impertinenza, Valenza attingeva con rinnovata verve ai grandi maestri dell’espressionismo, giungendo ad anticipare già, in pittura, quell’umanità decomposta che abita il cinema di Franco Maresco: un mondo in cui il senso del tragico viene asfissiato dal gas esilarante dell’ironia più corrosiva: cifra che Giovanni mantiene tutt’ora come segno distintivo ma non esclusivo della sua multiforme produzione. Scrive Alfonso Leto, nel testo critico che accompagna la mostra.
L’esposizione attraversa le fasi stilistiche di Valenza dagli esordi fino ai tempi più recenti, con le nuove produzioni inedite, passando per gli anni Ottanta, quando l’artista, con un gruppo di colleghi tra i quali i più giovani Croce Taravella e Guido Baragli è tra i protagonisti dell’esperienza espositiva (nell’Accademia di Belle Arti di Palermo) ideata da Francesco Carbone definita la Disavanguardia, testimoniando quella nuova fase controcorrente di una ricerca tutta palermitana che stava inventando un linguaggio originale in cui sicilianità e globalismo s’incontrarono, inventando quello che molti anni dopo si sarebbe sviluppata nella famosissima “Scuola siciliana”.