La seconda edizione de “La casa nel piatto”, a cura di Giovanna Caimmi e Valerio Dehò
con la collaborazione di Paola Binante fino all’8 luglio nel Complesso del Baraccano, Sala Possati di Bologna, nasce dall’incontro tra otto studentesse e studenti del Biennio di Arti Visive e un gruppo di persone senza fissa dimora a cui è stata chiesta una confidenza intima sul tema dl cibo: un suono, un profumo, una sensazione tattile, una visione o un sapore, piaceri sinestetici strettamente connessi all’identificazione del sé più profondo.
L’evento è realizzato in collaborazione con il Comune di Bologna, ASP Bologna e la Cooperativa Sociale Piazza Grande.
Alla base di questo progetto c’è una scelta, quella di considerare l’arte anche come uno strumento educativo, non solamente quindi un testo da studiare e analizzare, ma un pretesto per rafforzare le proprie risorse emotive e immaginative, utili a facilitare la comprensione di se stessi, degli altri e del mondo, offrendo chiavi di accesso innovative e connesse con un livello di conoscenza che passa attraverso empatia, intuizione e bellezza.
I giovani artisti si sono dedicati ad un ascolto empatico, attingendo e rafforzando le proprie risorse emotive e immaginative, e hanno creato opere d’arte, interpretando e dando forma, tra buio e luce, alle memorie dei senzatetto.
Giulia Querin e Rachele Tinkham, che insieme costituiscono il duo Plastikhaare sono partite dalla domanda “quale è il cibo che preferisci” e sono passate per memorie di festa di paese e di danze attorno a un cibo sempre più piccante, fino a produrre un’opera interamente di colore rosso (Playground 1, 2023). Ad Alexander Petkov capitava di inciampare in malintesi di arte sociale finché si è arreso alla semplicità priva di retorica dell’incontro (Senza titolo, 2023). Per Samuele Bartolini, abituato al lavoro “in solitaria”, è stata subito un’occasione per partire da qualcosa che non fosse sé stesso, tacendo, accogliendo ricordi senza richiederli, come un dono (Everchanging sweet floor, 2023), mentre Nuss Aleksandr Vladimirovich, sperimentando un’assoluta sincronia tra il raschiare carte di cucina e l’andare a fondo nella memoria, ha capito che senza relazione personale il suo lavoro non si sarebbe aperto (Senza titolo, 2023). Federica Casadei, ascoltando il suo interlocutore che parlava di certi bucatini da far risuscitare i morti, ha avuto subito percezioni immaginifiche, che si sono condensate nel suo video misterioso. Rebecca Michelini e Giulia di Clemente hanno reagito al racconto di una piccola lumaca sfuggita a morte certa in maniera completamente diversa: alla prima sono venuti alla mente versi Ungarettiani che parlano del sentirsi precari come d’autunno sugli alberi le foglie, che sono divenute protagoniste dell’opera (Donare e lasciare andare, 2022), mentre alla seconda è scattata un’immagine di natura viva e non più morta con il piccolo animale che fugge dal buio della fotografia (Suggestione mnestica, 2022). Un’oscurità che anche Alice Ricci percepiva al fondo dei suoi lavori pieni di luce, di cui alla fine si è decisa di lasciare una traccia, non nascondendola ma trasformandola (Cocoleaves e Bitterleaves, 2023).
La casa nel piatto comprende anche il progetto fotografico “Mense”, realizzato dalle studentesse e
dagli studenti del primo anno del Biennio di Fotografia. I giovani protagonisti di questa indagine (Jiang Benteng, Giuseppe di Giandomenico, Tania Gjoka, Giulia Magra, Irene Marino, Lorenzo Pasini, Martina Platone, Alice Risaliti, Sofia Sabato, Paola Vitofrancesco), hanno interpretato, con una pluralità di approcci e linguaggi e sempre consapevoli della difficoltà di trascrivere con il medium fotografico uno spazio sociale, il tema della distribuzione gratuita del cibo, attraverso lo studio delle diverse “cucine popolari” di Bologna e della “mensa dell’Antoniano”. Accompagna la mostra un catalogo edito da Edizioni Pendragon.