Manet. Noir et blanc


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A Cosenza, alla Galleria Nazionale, Palazzo Arnone, fino al 25 aprile la mostra “Manet. Noir et blanc” rende omaggio ad un artista rivoluzionario, nato e vissuto nella Parigi dell’Ottocento, superbo ritrattista e padre spirituale dell’Impressionismo: Édouard Manet. Un’occasione unica per conoscere e poter apprezzare un eccezionale corpus composto da 30 capolavori incisi, della prestigiosa edizione Strölin, che ci catapultano nella Parigi di fine Ottocento, in una metropoli ricca di fermento creativo e culturale nel preciso momento in cui, nella storia dell’arte, si registra il passaggio alla modernità. La mostra, ideata e prodotta dall’Associazione N.9 e curata da Alessandro Mario Toscano e Marco Toscano, celebra i brillanti risultati di Manet come artista grafico.

Édouard Manet, Jeanne (o La primavera), Incisione, 1882


La produzione grafica di Manet, sperimentale ed innovativa, è considerata fondamentale nello sviluppo delle tecniche di stampa. Le incisioni esposte, edite nel 1905, furono stampate postume dalle tavole originali di Manet, da Alfred Strölin, importante collezionista e commerciante tedesco. Le 30 lastre pubblicate nel 1894 da Dumont (che comprendevano le 23 del portfolio curato da Suzanne Manet per Gennevilliers nel 1890) rappresentano una raccolta esaustiva della produzione dell’artista. Vennero infine biffate dallo stesso Strölin per evitare ulteriori impressioni. Il poeta amico Charles Baudelaire, descriveva il nero come il colore del XIX° secolo e Manet era un maestro nel suo uso. Furono la ricerca di un’immediatezza espressiva, l’attenzione ai valori della materia, la sintesi delle forme, la verità pittorica degli oggetti a guidare Manet dritto sulla strada di una vera e propria rivoluzione figurativa. Fedele all’esigenza di naturalezza perseguita in pittura, Manet si diede alla grafica con l’impegno di uomo di scienza e la freschezza di chi guarda alla vita con inesauribile stupore. Alla “vita vera”, quella di tutti i giorni, che sta davanti agli occhi e diviene in ogni dettaglio pretesto per un racconto nuovo.
Quando da bambino, sui banchi di scuola, annotò a margine di un testo di Diderot “bisogna essere del proprio tempo e fare ciò che si vede”, forse Manet non sospettava ancora che quella frase, stesa di getto, ne avrebbe influenzato tutta la carriera e che Baudelaire un giorno, pensando alle sue impressioni, potesse lodarne “il gusto deciso per la vita moderna”. Lo stesso gusto che torna, con sfumature diverse, in ogni soggetto del corpus incisorio e che nell’edizione Strölin è svelato per tappe, con inedite inflessioni e piccole scoperte. Il suo straordinario senso per il reale aumenta, nel bianco e nero, d’immediatezza, merito dell’uso istintivo del tratto, figlio di una lunga affezione al disegno. Diversamente dal metodo di Goya, suo amatissimo mentore, costantemente citato nelle tele come nelle acqueforti, Manet affrontava la matrice quasi si trattasse di un blocco fortuito per gli appunti. Senza premeditare i soggetti, ma tracciando le forme in libertà. Stato dopo stato la punta graffia zone diverse della composizione, addensando le maglie sullo sfondo, alla ricerca del buio più pesto, e sfoltendo i tratti in primo piano per lasciare le figure in piena luce. Le sue morsure dovevano essere corte e violente, intuitive e senza regole, così come il suo segno era steso di getto, fresco e immediato.
Un importante catalogo accompagna la mostra, con preziosi contributi e approfondimenti.

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