Sauro Cavallini. L’opera di un internato


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Sauro Cavallini, uno degli artisti più significativamente prolifici della seconda metà del Novecento, conobbe l’orrore dei campi di internamento durante la Seconda Guerra Mondiale: nel settembre del 1943 all’età di 16 anni, infatti, fu arrestato dalla polizia fascista e recluso nel campo di Gradaro a Mantova, dove rimase per circa un anno.
I mesi di reclusione segnarono profondamente la vita di Cavallini e quando iniziò a praticare la scultura, gli incubi della prigionia presero forma e si tradussero nelle sue prime opere d’arte che non avrebbe più ripetuto negli oltre 50 anni successivi.

Queste opere sono esposte per la prima volta a Firenze nella mostra “Sauro Cavallini. L’opera di un internato”, allestita fino al 28 Febbraio nelle sale di Palazzo Strozzi Sacrati a Firenze, sede della presidenza della Giunta Regionale della Toscana.
Ideata dal Centro Studi Cavallini e curata dal direttore Maria Anna Di Pede, la mostra è stata realizzata con la collaborazione della Fondazione Fossoli, del Museo della Deportazione di Prato, con il contributo di Regione Toscana e di Unicoop Firenze e si inserisce nella serie di eventi organizzati in occasione della Giornata della Memoria 2023.

Alcune di queste sculture, nel luglio del 2021, furono temporaneamente in mostra nell’ex-campo di concentramento di Fossoli nel Comune di Carpi (MO), sul palco preparato per ospitare gli interventi dell’allora presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli e la presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, in occasione del 77° anniversario dell’eccidio nazista di Cibeno.
La terribile esperienza vissuta nel campo d’internamento influì su tutta l’opera di Cavallini che volle sempre affidare alle sue sculture un messaggio per l’umanità: di pace, di fratellanza e di amore universale. Si tratta di opere in ferro e in ottone, ispirate agli strazianti nei mesi di prigionia trascorsi tra privazioni e paure; le sculture, alcune delle quali misurano anche due metri d’altezza, furono realizzate durante i primi anni ‘60 con la tecnica della “goccia su goccia” ovvero sciogliendo scarti metallici mediante fiaccola ossidrica fino a creare l’opera, e sono dedicate unicamente alla figura umana dove l’angoscia, la sofferenza, il grido di aiuto, sono leggibili in modo inequivocabile. Sauro Cavallini si servì di quelle creazioni per metabolizzare e trasferire nella materia tridimensionale un dolore che non avrebbe mai avuto modo di esprimere diversamente. Solo così il Maestro diede forma ai ricordi dei corpi scheletrici dei prigionieri, delle torture, delle brutali fucilazioni che per anni avevano tormentato il suo animo.
Nell’allestimento le sculture sono affiancate da pannelli che, attraverso fotografie e documenti storici, illustrano i crimini nazifascisti commessi contro chi cercava di resistere e la popolazione civile, durante uno dei periodi più dolorosi della storia d’Italia.
Le opere esposte in mostra fanno parte della collezione permanente custodita nella Casa Museo Sauro Cavallini di Fiesole, dove ha sede l’omonimo Centro Studi inaugurato nel 2017 e presieduto dai figli dell’artista Aine e Teo Cavallini.

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