Palermo ricorda il pittore Andrea Di Marco (Palermo, 1970 – 2012), a dieci anni dalla prematura scomparsa, con la mostra “Pegno”, concepita, sin dal luogo e dall’allestimento, come un omaggio all’inconfondibile poetica figurativa dell’artista: nei grandi ambienti del Monte dei Pegni di Palazzo Branciforte, oggi sede della Fondazione Sicilia, sono infatti collocati circa trenta suoi dipinti anche di grandi dimensioni, accuratamente selezionati dai curatori Sergio Troisi e Alessandro Pinto, posti in un dialogo serrato con le scaffalature lignee che a perdita d’occhio percorrono le sale.
L’esposizione, visitabile fino all’8 gennaio 2023, è promossa dall’Archivio Andrea Di Marco in collaborazione con la Fondazione Sicilia e l’Accademia di Belle Arti di Palermo e realizzata con il contributo di Elenk’Art e Galleria Bonelli.
Il titolo della mostra, “Pegno”, si riferisce non soltanto al luogo che la ospita, ma richiama anche la semplicità elusiva di molti titoli scelti da Di Marco per le sue opere (“Apecasse”, “Radar”, “Seduto”, “Steso”, solo per citarne alcune esposte). La memoria dei poveri oggetti consegnati in pegno si intreccia così con quella delle semplici cose dipinte da Di Marco, in bilico tra attesa e abbandono: sedie, poltrone, biciclette, giocattoli, ombrelloni, abiti, stoffe, ma anche saracinesche abbassate su strade deserte e motoape cariche di cassette. Tutti soggetti ricorrenti nella sua produzione, in una sorta di inventario fisico e mentale che la resa della materia pittorica carica di una fissità straniata e malinconica. Il sentimento del vuoto, implicito in questi paesaggi urbani privati, all’improvviso e come per incantesimo, del loro abituale movimento, viene reiterato nell’esposizione dalla trama ritmica e appena variata delle scaffalature.
In mostra sono raccolti i lavori più emblematici dell’autore, quelli popolati da oggetti abbandonati o in disuso, ma anche quelli che meglio rappresentano quel particolare realismo che ha portato Andrea Di Marco a essere sempre più identificato con Palermo e la Sicilia, mettendone in evidenza lo sguardo beffardo e allo stesso tempo malinconico. Con Alessandro Bazan, Francesco De Grandi e Fulvio Di Piazza, Andrea Di Marco aveva dato vita, tra la fine degli anni Novanta e gli inizi del 2000, alla Scuola di Palermo, sodalizio che si era affermato sulla scena artistica italiana “in un momento – spiega il curatore Sergio Troisi – in cui la fase del ritorno alla pittura declinava in favore di un diverso orizzonte di proposte concettuali e di nuovi media, individuando un punto di convergenza e irradiazione dei quattro percorsi nell’idea stessa della pittura, della sua materia e della sua stratificata memoria, come luogo di esplorazione del sentimento contemporaneo”. Il severo rigore formale di Di Marco, in particolare, dava a ogni suo soggetto un’evidente concretezza, gli restituiva profondità e luminosità, ponendosi in continuità con la storia dell’arte e dell’umanità.