Il tempo del mistero. Gabriele “Buga” Buratti


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Il tempo del mistero è la quarta mostra organizzata da Slow Lake Como e Slow Moon nella sede del Castel Baradello di Como, fino al 15 gennaio 2023.

Con questa mostra l’autore, Gabriele BUGA Buratti utilizzando una semantica sua propria declina il tema, sempre più attuale delle moderne metropoli; non-luoghi misteriosi e talvolta inquietanti, in cui le nostre anime si smarriscono e perdono i loro punti di riferimento. Anime perse nell’impenetrabile e fitta rete di realtà in continuo mutamento: grandi spazi di transito, di circolazione, di consumo, sempre più omologanti, in cui ognuno di noi diviene “uno, nessuno, centomila”, una maschera di solitudine.

Buga lavora su tavole di legno utilizzando un substrato di pittura murale su cui appone strati di pittura ad olio e lavorando con lame, carte vetrate, spugne, toglie il colore, lavorando per sottrazione, alla ricerca della perfezione del segno e nel tentativo di trovare quei colpi di luce, in contrasto con le ombre, che contribuiscono a caratterizzare un’atmosfera per lo più brumosa, densa di foschie tipicamente milanesi.

Gabriele Buratti, Buga, Uccello in ricognizione, cm 97×125

Pochi sono i colori, i bianchi e neri, le terre, le ruggini che costituiscono la cifra caratteristica dell’artista. Dall’impalpabilità delle tonalità scaturisce un lessico figurale assolutamente non mimetico, quanto piuttosto evocativo. L’iconografia urbana appare come un layout fotografico che traduce in quadro un reale privo però di una precisa connotazione temporale, costituendo piuttosto una proiezione dell’immaginario emotivo dell’autore. Lo spettatore si trova davanti a immagini realistiche che attingono ad un universo simbolista.

Le metropoli divengono simboli di un progresso continuo e prepotente, vittima delle leggi socioeconomiche di un capitalismo che ci ha resi dimentichi delle nostre autentiche radici e delle nostre esigenze più profonde.

Gli animali simboleggiano il primitivo, il primordiale. Elefanti, rinoceronti, tigri, zebre, campeggiano al centro della scena in contrasto netto con il paesaggio antropizzato e piegato alle leggi del consumismo. La figura umana è assente ma sentiamo, in questo rituale sacro, una catarsi: siamo tutti braccati come animali selvaggi che non possono che perdersi in un contesto che non riconoscono, numeri fra numeri, azzerati dall’appiattimento di ogni valore, come lo sono le città deserte. Qui ritroviamo l’invito/monito nei confronti di una civiltà che va perdendo la propria stabilità, incapace di dar vita e volto ad uno sviluppo che sappia tener conto di una necessaria misura ed un indispensabile equilibrio.

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